«Mi è capitato di sentirmi fischiare o ricevere apprezzamenti ad alta voce, mi sono sentita mancare di rispetto, ma soprattutto mi ha fatto arrabbiare pensare che per qualcuno sia un comportamento normale, pensando che possa fare piacere». Valentina ha 21 anni e vive a Mestre. «Io non mi sento sicura quando sono da sola per strada la sera, non perché non mi fido di me stessa, ma perché non so chi potrei incontrare e perché spesso queste forme di violenza non sono riconosciute».
«Come Laboratorio Climatico Pandora stiamo cercando di creare un’alternativa senza chiuderci nel nostro gruppo ma aprendoci agli altri per fare la nostra parte perché questa situazione cambi – continua – dopo le manifestazioni contro il femminicidio di Giulia Cecchettin, abbiamo sentito l’esigenza di dare dei segnali per affiancare un discorso pratico e sul territorio agli articoli di giornale che raccontano i problemi di sicurezza di Mestre, le continue molestie e violenze. Per questo l’8 marzo abbiamo voluto celebrare la giornata internazionale della donna passando insieme ai cittadini in una delle zone meno sicure della città la sera: il sottopasso ciclo-pedonale che collega Mestre a Marghera sotto la stazione dei treni».
«La scelta del luogo da cui far partire il corteo non è stata casuale – spiega la ragazza – dopo una certa ora i mezzi pubblici non circolano più, il sottopasso pedonale viene chiuso e resta aperto solo quello ciclopedonale, pieno di curve e dove le vie di fuga verso i binari della stazione vengono bloccate alla partenza degli ultimi treni. Se si vuole andare da una parte all’altra della città e non si ha una macchina è l’unica alternativa, ma è molto pericoloso per una donna sola di notte. Basterebbe anche solo tenere aperto quello pedonale che è diritto e alla fine ci sono luci e attività commerciali per dare un’alternativa più sicura».
«Un cambiamento così piccolo può dare un segnale grande – le fa eco Sebastiano – la nostra manifestazione è stata un momento simbolico per attirare l’attenzione sul tema. La sicurezza non si risolve solo con le forze dell’ordine ma attraverso cultura, spazi e servizi. E’ giusto continuare a tenere alta l’attenzione sul tema della violenza di genere e parlarne, perché va creata una coscienza in tutti noi diversa da come tanti sono stati educati, per cambiare la mentalità verso le donne e tutte le persone che vengono discriminate. E’ un tema ampio e complesso, ma si può partire anche da piccole cose, come riaprire la sera un passaggio sicuro per tutti».
«Il modo in cui vengono raccontate le violenze – prosegue il ragazzo – cerca sempre di colpevolizzare chi compie le azioni, senza concentrarsi sul prevenirle. Per questo serve uno sforzo maggiore in servizi, solo a Venezia si potrebbero potenziare i consultori e i centri antiviolenza, oltre a mettere a disposizione per le vittime le case pubbliche in stato di abbandono. Certo si tratta di investire, ma il ritorno in valore sarebbe maggiore di quanto si spende. Oltre alla partecipazione emotiva di fronte a grandi tragedie come i femminicidi, per fermare il fenomeno bisogna agire sulla quotidianità e spesso manca la coerenza di applicare soluzioni oltre alla vicinanza per il dolore di vite spezzate».
«Questa visione stereotipata dei generi nasce da una questione ampia – aggiunge Valentina – fin da quando nasciamo veniamo cresciuti in modo diverso: i maschi devono essere forti e potenti e affermarsi sulle femmine, che vengono cresciute con la convinzione di non valere abbastanza e che il loro pensiero sia ugualmente importante, questo impatta ancora con gli stipendi e con le opportunità, basta pensare ai milioni di donne che vorrebbero essere madri e si trovano a dover scegliere fra famiglia e lavoro, con la paura di sentirsi giudicate per le loro scelte e minacciate dal potere che gli uomini possono esercitare tanto in ufficio che in casa. Per risolvere la situazione non si può usare un solo punto di vista, va bene partire dalle scuole ma è necessario cambiare tante piccole cose ogni giorno, è una questione culturale. Il rispetto si impara aiutando le persone a poter essere sé stesse fra gli altri, riscoprendo anche le emozioni».
Il corteo, che ha sfilato attraversando entrambi i passaggi tra Mestre e Marghera, ha visto anche la partecipazione di varie associazioni cittadine, attive soprattutto nelle zone più “calde”, come il quartiere Piave. «Abbiamo trovato il tema interessante perché coinvolgeva alcuni punti simbolici della città dove esiste una questione di sicurezza – raccontano dal Gruppo di Lavoro di via Piave – parlarne proprio l’8 marzo, mettendo insieme una manifestazione pacifica per passare fra questi luoghi portando un messaggio di sensibilizzazione, è servito per parlare alla cittadinanza di come avere spazi non sicuri sia ancora più delicato per una donna. Per qualche ora è stato significativo riappropriarsi di un pezzo di territorio, rigenerandolo con la presenza di tante persone».
Simbolicamente i cittadini hanno riconquistato un pezzo di città, con un flusso che al suo passaggio ha colorato i luoghi in cui passava, in una marcia scandita dalle musiche da banda, che anticipavano cartelli e cori. Fra i momenti più sofferti, la lettura delle domande dell’avvocato difensore di Ciro Grillo e compagni alla ragazza che li ha denunciati per stupro, per cui è normale chiedere in un’aula di tribunale quante mani sono state usate per prendere per i capelli, se prima di entrare nel letto un presunto stupratore si sia tolto le scarpe e se i pantaloncini che indossava la donna fossero elasticizzati. «Finché accettiamo che tutto questo sia normale le cose non cambieranno – conclude Valentina – la violenza di genere va combattuta, io come tutte le altre, vorremmo sentirci sicure, sempre».
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