Architettura non vuol dire solo costruire o decostruire, ma anche ragionare su ciò che c’è già e ripensarlo secondo nuove esigenze. È il messaggio lanciato dal Padiglione del Kuwait, intitolato “Rethinking Rethinking Kuwait”, ovvero “Ripensare Ripensare il Kuwait”, cura di Hamad Alkhaleefi, Naser Ashour, Rabab Raes Kazem e Mohammad Kassem, che ai Magazzini del Sale n. 5 esplora i nuovi metodi di progettazione architettonica e urbana che emergono dalle intersezioni di spazio e tempo. Si tratta di un’indagine che tenta di correggere gli effetti dell’urbanistica modernista che ha portato alla cancellazione della maggior parte del tessuto edilizio storico del Kuwait. Il padiglione, attraverso varie opere, studi e lavori, analizzando la transizione avvenuta, esplora in varie sezioni idee di decolonizzazione e decarbonizzazione, ripensando i mezzi di trasporto e l’accessibilità. Il progetto con uno studio focalizzato su Kuwait City come condizione prototipica guarda però al Kuwait su scala nazionale.
Con il boom economico e petrolifero dagli anni ‘50 in poi nel Paese c’è stato un incremento di costruzioni. Edifici e infrastrutture hanno riempito le città puntando non tanto a volere l’uomo al centro ma piuttosto a dare sfoggio della grandiosità e ricchezza del Kuwait, che è cresciuto rapidamente. Poche delle vecchie costruzioni sono state infatti inglobate in quelle nuove e non è rimasto nulla di storico. Il Padiglione ripensa quindi le città in dimensioni più a misura d’uomo, rendendole anche ecologicamente più sostenibili. I tanti progetti selezionati dal team curatoriale, proposti da giovani architetti, artisti e designer under 40 del Kuwait, vertono infatti sul ripensamento della capitale Kuwait City in un’ottica più umana. Cosa paradossale è che, con l’espansione e la costruzione, il centro storico si è spopolato e la gente è andata ad abitare in periferia, edificata come zona residenziale. Ad oggi infatti il centro non è più abitato ma vede solo la presenza di servizi, uffici direzionali, aziendali e centri commerciali, in edifici non pensati per viverci. Un centro vuoto quindi, praticamente privo di residenti come Venezia, divenuto però zona produttiva piena di mezzi dove anche fare una passeggiata risulta impossibile. L’idea promossa dal Padiglione è allora quella di vivificare il centro storico.
<Abbiamo usato Kuwait City come prototipo applicabile in tutto il Paese. I centri spopolati sono un fenomeno che interessa tutto lo Stato. – spiega il curatore Naser Ashour – Nelle zone frammentate e non più collegate tra loro lo scopo è cercare di realizzare progetti che aiutino la cultura cittadina a riunirsi attraverso l’architettura. – e continua – Delle mappe in mostra spiegano com’era il centro della città vecchia che è stata demolita per creare la città metropolitana. Qui ora vivono pochissime persone che quando camminano per strada non sono mai al sicuro perché la città è a misura di macchine>. I progetti per ripensare il centro riguardano in particolare un incremento dell’area pedonale: <Vogliamo mixare passato e presente per un futuro con una nuova opportunità di design per una città a misura d’uomo. – dice – Durante la pandemia abbiamo ascoltato molte volte il discorso di Lesley Lokko. Ci siamo sentiti ispirati quando ha detto di ripensare il futuro e soprattutto quando ha parlato del laboratorio del futuro, da qui l’idea di coinvolgere nel progetto singoli architetti o interi gruppi>.
Diversi sono i progetti che mirano a migliorare in particolare il sistema di trasporto pubblico in ottica sostenibile, attraverso linee del tram o una nuova rete metropolitana. Un’opera in particolare “Transformation of Transport” di Dana Al-Rashid mostra lo stato di transizione del Kuwait in relazione ai trasporti. Vari i metodi di trasporto in sovrapposizione temporale: dai cammelli alle auto elettriche, passando per i tappeti magici e le metropolitane. Una creazione che infine immagina una società che converge e si raccoglie attorno al sistema tramviario. Altro aspetto importante tratta il recupero della storia precedente. In mostra una raccolta di magazine con foto testimoniano come fosse la città in precedenza, cercando elementi antichi per ricostruire come fosse la vita prima che il centro si svuotasse e per recuperare le abitudini di un tempo. Un’altra installazione, “Native Plants of Kuwait” di Maha Al-Asaker, presenta invece opere d’arte scultoree realizzate da reperti ritrovati nel Paese: pietre e pezzi di passato testimoniano quello che c’era prima, sottolineando quanto per un popolo sia importante conoscere la sua storia.
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