«I cambiamenti climatici in atto sono così veloci che superano la lenta evoluzione tipica dei funghi per la loro naturale capacità di adattamento» – spiega Enrico Bizio, esperto e contributore dell’erbario micologico del Museo di Storia Naturale di Venezia “Giancarlo Ligabue” – «Non ci sono ancora studi scientifici basati su dati statistici, ma dalle osservazioni sembra possibile che ci sia un impatto anche su questi organismi, che mettono in atto strategie inedite per contrastare nuove condizioni ambientali».
«La Regione Trentino-Alto Adige sta monitorando con cadenza settimanale alcune aree di crescita da oltre trent’anni, quindi dispone di dati su serie storica che possono essere incrociati con quelli climatici» – continua il ricercatore – «Statistiche alla mano, sarà possibile comprendere quale è il comportamento dei funghi, se si stanno adattando in modo differente rispetto alla loro tradizionale crescita o se dimostrano particolari capacità di resilienza, già in Veneto ci sono alcuni luoghi “sentinella” che manifestano un comportamento inedito, come l’area interessata dalla tempesta “Vaia”».
«Si tratta di organismi antichissimi, probabilmente nati in contemporanea alle piante, tanto che sono tradizionalmente associati ad esse, ma lo studio sulla loro evoluzione ha portato gli scienziati a raggrupparli in un ambito a sé stante, il così detto “Regno dei funghi”» – precisa Bizio – «Si tratta di un insieme di organismi variegato che va dalle muffe, ai lieviti, fino a quelli che siamo abituati a chiamare comunemente “funghi”, ovvero i macromiceti che troviamo solitamente nei boschi».
I funghi si caratterizzano rispetto alle piante per la presenza di filamenti o “ife”, che sostituiscono il sistema linfatico e per la riproduzione tramite spore. Dal punto di vista alimentare, assomigliano molto di più agli animali dato che si nutrono di sostanze organiche prodotte da altri organismi. Se consumano sostanze prive di vita vengono definiti “saprofiti”, “parassiti” se aggrediscono organismi viventi e “simbionti” se stabiliscono una convivenza con delle piante di alto fusto.
«Al momento i funghi più che essere minacciati dai cambiamenti climatici in senso stretto, stanno subendo un processo di sostituzione di specie non più adatte ad un clima alterato con altre più adattabili» – racconta Bizio – «Così è sempre più frequente trovare specie aliene o esotiche, o meglio “alloctone”, in quanto provengono da altri continenti o Paesi del Mediterraneo meridionale, che si propagano ad opera dell’uomo trasportate con le merci».
«Precisiamo che senza lavori scientifici l’argomento è destinato a restare nell’ambito delle “chiacchiere da bar”, però se non ci si prende troppo sul serio è possibile fare alcune riflessioni» – chiarisce l’esperto – «Fra questo chiacchiericcio la lamentela generale degli appassionati è che oggi ci sono molti meno funghi di una volta. Verità o suggestione? Alcune specie scompaiono, mentre altre appaiono improvvisamente, difficile non mettere questi fenomeni in relazione coi cambiamenti climatici, ma impossibile stabilirne un nesso inequivocabile al momento».
«Quello che emerge in modo chiaro, è una relazione tra causa ed effetto in concomitanza di eventi estremi, come la tempesta Vaia dell’ottobre del 2018. La distruzione delle foreste ha dato forma a enormi radure e i macromiceti simbionti delle piante di alto fusto, hanno subito un tracollo senza i loro partner, gli abeti rossi» – spiega Bizio – «Ma dove i fusti non sono stati rimossi, sono proliferate le specie saprobie, che svolgono il fondamentale lavoro di “spazzini”. In poche parole, i raccoglitori di porcini dovranno accontentarsi dei chiodini!».
Sempre restando nella “chiacchere fra appassionati”, in attesa di rigorosi studi scientifici, l’esperto sottolinea che: «Sulle Alpi, alle quote più alte, oltre i 2000 metri, dove le conifere tendono a salire di quota, sono accompagnate almeno in parte del loro corredo di funghi» – aggiunge – «I cambiamenti sul singolo fungo si possono osservare nell’intero ciclo vitale, infatti risulta alterato tanto a livello di carpoforo (cappello e gambo) che di micelio (la parte non visibile del fungo sotto terra o corteccia)».
Micologia e studi sul clima potrebbero quindi essere legati? «E’ un’unione auspicabile» – afferma il ricercatore – «Ma non sarà un processo rapido, un po’ perché i climatologi non perdono tempo coi funghi e un po’ perché i micologi sono troppo impegnati a gratificare le loro ambizioni tassonomiche. A livello accademico, la micologia è vista ancora come “sorella minore” della botanica, tanto che è in gran parte ancora appannaggio di associazioni naturalistiche, che comunque coltivano la materia con passione. La figura stessa di chi studia i funghi è quella di un biologo prestato alla micologia, una branca che include la figura professionale che ispeziona e controlla la commestibilità dei funghi ammessi alla vendita».
«Per poter osservare poi questo rapporto tra funghi e cambiamenti climatici non è sufficiente coltivarli in casa, in quel contesto non hanno capacità di bioindicatori essendo allevati» – puntualizza Bizio – «Infatti è facile osservare questi cambiamenti nelle regioni e nelle aree estreme, dove anche piccole alterazioni possono comportare il tracollo di specie incapaci di adattamento come nelle dune delle aree costiere, nelle torbiere e in zone umide, fino ai siti di alta quota. Nelle zone intermedie, è molto meno evidente. Di conseguenza anche i funghi sono meno specchio di cambiamento».
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