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Emancipazione femminile: Nisha, dal Bangladesh all’Italia

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La storia di una giovane donna che insegna ai connazionali la lingua italiana

«Metà della mia vita l’ho trascorsa a Mestre con mio marito e i miei due figli che sono nati qui». Nisha ha 34 anni, è originaria del Bangladesh ma da 17 anni vive in Italia. «Sono nata a Dacca, la capitale e mi sono sposata molto giovane. Sono venuta in Italia con mio marito, che lavora come addetto in una lavanderia industriale. Tutta la mia famiglia è rimasta a casa, sono tornata da loro solo una volta e sono almeno 12 anni che non vedo dal vivo i miei genitori, fratelli e sorelle. La mia vita ormai è qui».

«C’è una grande differenza fra il Bangladesh e l’Italia – racconta – il nostro è un piccolo stato con diversi problemi e molta instabilità politica. In Italia ci sono tante opportunità per lavorare e vivere meglio rispetto al nostro Paese, dove c’è difficoltà a trovare lavoro e io avrei faticato molto. Qui ho trovato come rendermi utile per la mia comunità e avere delle piccole entrate come insegnante di italiano per i bengalesi che arrivano e vorrebbero imparare la lingua».

Foto di Gabrielepx da Wikimedia
Cultura, religione e costumi: differenze ma non barriere

«Il mio lavoro alla Venice Bangla School e per l’associazione Acrag mi piace molto – spiega – i miei connazionali quando vengono in Italia hanno molta voglia di imparare l’italiano. Quando sono arrivata io non c’erano scuole per farlo, molti bengalesi, anche se sono laureati nel nostro paese, si trovano spaesati a dover ricominciare da zero, a me piace poter essere utile e vedo tanta curiosità per questa lingua così difficile per noi rispetto all’inglese, il secondo idioma più diffuso nel nostro Paese. Da quando so parlare l’italiano è come se mi sentissi un po’ a casa».

«I miei figli parlano metà bengalese e italiano, ma preferiscono il secondo. Mia figlia dice che è più facile della nostra lingua e mio figlio, che studia informatica allo Zuccante, adora e pratica il calcio ed è fanatico dei vostri negozi di articoli sportivi. Quando li guardo è difficile dire se quando saranno grandi si sentiranno più italiani o bengalesi, io vorrei prima di tutto che diventassero brave persone e ricordassero le nostre origini, pur vivendo in Italia».

Come si sentono i figli? «Conoscono la nostra cultura ma anche quella italiana, sono un mix di elementi diversi, ad esempio odiano le spezie, così ho dovuto “italianizzare” molte mie ricette», racconta Nisha. «Siamo una famiglia un po’ atipica agli occhi della gente, mio marito, che è una persona aperta, vuole che i figli studino, così possono insegnare anche a noi cose nuove, perché senza l’aiuto della cultura non si va avanti. Credo nello sviluppo ma anche nella tradizione, ogni tanto qualche italiano mi guarda stupito perché porto il velo, ma io lo faccio perché mi piace, non per obbligo».

Foto di sailko da Wikimedia
Le conquiste come donna straniera in Italia

«Mentre spesso i mariti non vogliono che le donne siano indipendenti, io mi sento molto fortunata, mio marito non mi ha mai limitato e mi ha sempre detto che avrei dovuto fare qualcosa per migliorare me stessa e mi ha spronato ad aiutare chi aveva bisogno – spiega la giovane donna – le persone del Bangladesh vogliono integrarsi, alcune donne mi dicono che vorrebbero diventare come me, la lingua è il primo passo, poi si scoprono molte altre cose da imparare».

«Le donne vorrebbero integrarsi di più, ma i mariti spesso hanno paura di perdere autorità se loro diventano più indipendenti, per questo è un processo difficile, ma spero si riesca il più possibile a emanciparle». Come racconta Nisha: «Io ho preso anche la patente, con la pratica e l’aiuto di mio marito, avercela fatta e mi ha reso ancora più autonoma. Adesso mi mancherebbe solo ottenere il diploma, vorrei studiare informatica anche io come mio figlio. Voglio che anche mia figlia studi, proprio perché è una donna, anche mio marito è d’accordo».

L’impegno per la comunità bengalese a Mestre

«Mestre mi piace, anche se preferisco la tranquillità della periferia al centro – spiega – ci vorrebbe più sicurezza, soprattutto la sera. Tanti miei connazionali che lavorano hanno paura, mio figlio stesso quando esce mi racconta che girano persone poco raccomandabili. Io non mi sento tranquilla a sapere che la droga è così facile da trovare per le strade. Vedere persone bucarsi alla luce del sole è una cosa grave come esempio per dei ragazzini».

«Anche se la nostra cultura non vede di buon occhio che i ragazzi facciano tardi la sera, dobbiamo poterli mandare fuori sapendo che non corrono pericoli – aggiunge – per questo sono stata felice di aiutare la distribuzione dei questionari sulla percezione della sicurezza che ha realizzato il comitato VivAmoMarghera, traducendoli per 50 miei connazionali. Sono stati contenti di dire la loro opinione, si sono sentiti così davvero parte della città e non solo ospiti. Io stessa ho molte amiche italiane, anche se a volte gli italiani, soprattutto giovani, hanno un po’ paura di fare amicizia con gli stranieri, solo collaborando insieme possiamo risolvere i problemi della città».

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