Si preannuncia un terremoto per il settore degli imballaggi: la direttiva europea in materia di packaging (Packaging & Packaging Waste Regulation – PPWR) infatti cambierà le politiche di produzione e gestione dei processi in tutta l’Unione se verrà approvata come regolamento. «Il problema è lo sbilanciamento verso il riuso rispetto al riciclo, dove noi italiani siamo fortissimi – spiega il professor Alvise Benedetti dell’Università Ca’ Foscari – nel caso passi questa linea le imprese dovranno riconvertirsi».
Su questo argomento, il 25 settembre lo stesso docente ha organizzato un incontro dal titolo “Packaging: rivoluzione i(m)ballo”, ospitato nell’auditorium del campus scientifico di Mestre di Ca’ Foscari, dove esperti e imprenditori hanno affrontato la questione di fronte a più di cento partecipanti. «La preoccupazione per le industrie italiane e la politica è comprensibile, dovremmo impegnarci in processi di ri-organizzazione, ma potrebbe non essere tutto per forza negativo, la trasformazione dovrà essere sostenuta da investimenti finanziati anche da fondi europei, potrebbe essere quindi un’opportunità per il comparto», afferma il docente.
Le commissioni Ambiente (VII) e Attività produttive (X) della Camera, riunite il 28 giugno scorso, hanno espresso un parere negativo sulla proposta di regolamento, che si va a sommare alla bocciatura in Senato. Il tema dello scontro riguarda l’approccio al riciclo, dove l’Italia su molti fronti ha bruciato le tappe rispetto agli obiettivi posti dalla stessa Unione Europea, che nel documento viene messo in contrapposizione e non complementarietà al riuso.
L’approccio della UE punta a limitare la produzione di rifiuti, soprattutto in favore di quegli Stati membri che rischiano di non raggiungere gli obiettivi generali sul riciclaggio degli imballaggi fissati per il 2025. Dal Governo italiano arriva anche la richiesta di considerare, nella percentuale di materiale riciclato imposto dall’Unione, la media di tutti gli imballaggi in plastica di una certa tipologia o dello stesso operatore economico e sulla singola unità di imballaggio, escludendo dalla norma gli imballaggi in PET o polimeri per alimenti e bevande. In alternativa la proposta è quella di usare plastiche riciclate da imballaggi per prodotti alimentari.
Nonostante le rassicurazioni europee sul mantenimento del sostegno al riciclo, la commissione Ambiente stima una crescita dei rifiuti da imballaggi del 19% entro il 2030, per cui le infrastrutture non saranno sufficienti a trattare tutto il materiale. La proposta di regolamento cerca di rimanere neutrale su materiali e tecnologia, ma per affrontare la questione sarà necessario andare oltre il riciclaggio, considerando anche gli ostacoli alla circolarità del packaging.
«La plastica ha un’immagine cattiva ma è un materiale di cui avremo bisogno ancora a lungo – spiega il professor Benedetti – pesa e costa poco, mentre ha un’infinità di utilizzi, il problema principale è quello della gestione. Siamo bravi a crearla, un po’ meno a raccoglierla, disperdendola in modo incosciente nell’ambiente, ma a meno di riuscire a scoprire un nuovo materiale, per i prossimi 50 anni dovremmo lavorare ancora con la plastica, quindi l’obiettivo è gestirla al meglio, su questo però la gente inizia a essere consapevole».
«Con “plastica” poi si semplifica al massimo – continua il docente – in realtà si tratta di un intero mondo che comprende vari polimeri con vastissime diverse applicazioni, purtroppo la chimica e i suoi derivati, nonostante il progresso grazie alla scienza e alla tecnologia, hanno uno stigma come qualcosa di “innaturale”, quando in realtà non fanno altro che riprodurre proprio meccanismi tipici della natura in modo più efficiente. Sulla plastica va creata una coscienza mondiale per la gestione del rifiuto».
L’impatto della normativa europea avrebbe una risultante rilevante sull’Italia, coinvolgendo circa 800.000 imprese, soprattutto per quanto riguarda le tempistiche proposte, con un’ideale applicazione dal 2030. «Voglio vedere il bicchiere mezzo pieno – afferma il docente – il fatto che sia oggetto di discussione è l’occasione per catalizzare l’attenzione sul tema, cambiando in meglio l’industria degli imballaggi, ci saranno molti investimenti per migliorare la produzione, quindi potrebbe essere una grande opportunità. Discutendo, si chiariscono gli obiettivi».
«Anche perché – aggiunge il professore – riutilizzo non è per forza sinonimo di sostenibilità, infatti nel computo “green” va inclusa l’energia e le emissioni per sanificare e igienizzare, aspetti critici per il settore alimentare e farmaceutico. Dobbiamo prendere questa opportunità di confronto per avanzare soluzioni condivise, in Italia le imprese ne hanno coscienza e anche la politica sta cercando di stare al passo. I temi veri sono discutere e arrivare a tutte le persone, oltre a dare alle aziende un valido supporto, anche legislativo, perché spesso quelle di piccole e medie dimensioni, la maggioranza della nostra regione, sono piene di volontà di fare ma non hanno gli strumenti per allinearsi alle grandi realtà».
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