Una Venezia autentica in cui non esistono gerarchie. Questa è l’arte di Italico Brass (1870 – 1943), in cui una scena del Caffè Florian in piazza San Marco ha la stessa dignità dei picnic svolti al Lido dalle famiglie. È quanto emerge nella mostra “Italico Brass. Il Pittore di Venezia”, a cura di Giandomenico Romanelli e Pascaline Vatin, allestita a Palazzo Loredan, sede dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti che ha promosso l’esposizione insieme a lineadacqua e di cui Majer è main sponsor. Oggi fino al 22 dicembre, dopo 75 anni in cui l’arte di Brass era rimasta relegata all’oblio, l’artista torna a Venezia protagonista assoluto in un percorso di otto sale, con oltre 100 opere esposte, di cui la maggior parte inedite, principalmente prestate dagli eredi del pittore e raggruppate per luoghi e scorci cari all’artista, come la sua Casa di San Trovaso. Era il 1948 infatti quando alla Biennale d’Arte di Venezia, la prima dopo la caduta del fascismo, si tenne l’ultima mostra monografica veneziana dedicata all’artista, nonno del noto regista Tinto Brass.
Fin dai primi anni del Novecento, nonostante fosse nato a Gorizia, Brass era definito dalla critica italiana e straniera come “il pittore di Venezia”, sua città prediletta. Brass infatti, ancora giovane 25enne, dopo essersi sposato con Lina Rebecca Vigdofff, nel ’95 si trasferì in laguna instaurando subito con la città un rapporto affettivo, quasi di devozione. Eppure Brass dimostrò anche un tratto cosmopolita. Dopo una breve esperienza a Monaco sotto il pittore Karl Raupp, iniziò la sua carriera a Parigi, dove si era recato 19enne per sette anni per frequentare i circoli degli impressionisti, dove ebbe un significativo successo. Espose presto negli Stati Uniti, in Sud America e in gran parte delle città d’Europa. Una passione, quella per Venezia, che si insinuò in lui fin da quando, ancora piccolino, dal Castello di Gorizia suo padre gli disse che il luccichio che vedeva in fondo al mare era quello della laguna. Brass è stato presente alla Biennale di Venezia sin dalla fondazione della grande rassegna nel 1895 e in quasi tutte le edizioni fino al 1943, anno in cui morì. Dopo la mostra del ‘48 cadde il silenzio. Solo la città natale, Gorizia, gli dedicò nel 1991 una mostra monografica. L’esposizione allestita a Palazzo Loredan, ad ottant’anni dalla morte dell’artista, è occasione per rileggere e riscoprire la sua pittura, con cui seppe cogliere, in termini nuovi e moderni, la genuinità della città che gli si presentava dinanzi agli occhi.
La città è vissuta in mezzo alla gente: <Quella di Brass non è una pittura monumentale ma della vita quotidiana. – spiega Giandomenico Romanelli – Ritrae persone normali in una città speciale che rende con grande spontaneità nei suoi riti e processioni. Una città quotidiana per niente bozzettistica o nostalgica>. I suoi quadri si caratterizzano per una gioiosità intrinseca, percepibile nei racconti delle giostre a Sant’Elena, dei burattini nei vari campi, del chiosco dei gelati a Santa Margherita, della gioiosità espressa nelle varie regate o dal ciarlare di perlaie al lavoro e popolane, compresi gli attimi spensierati nelle terrazze al Lido che danno il ritratto di una città pulsante. Anche i quadri da reporter di guerra, realizzati su incarico del Comando della Regia Marina, di cui diversi sono quelli esposti in mostra, non sono angoscianti o drammatici, ma raccontano la realtà con la stessa speranza che porta in tutta la sua pittura. Inoltre nelle sue opere, con luci e colori vibranti, compare testimonianza del Ponte di barche che collegava le Fondamente Nuove con il cimitero di San Michele durante la commemorazione dei defunti o del campanile di San Marco in costruzione dopo il crollo. A questo si affiancano gioiosi ritratti famigliari della moglie e del figlio.
Quella di Italico Brass è un’arte che si contraddistingue per essere molto distante dalla tradizione pittorica veneziana a cavallo tra ‘800 e ‘900: <In lui non c’è la tradizione pittorica veneziana di Favretto e suoi seguaci come Milesi e Nono. – dice Romanelli – La critica un tempo trovava corrispondenze con Monet e Guardi, in realtà quella di Brass fu una pittura quasi anti ottocentesca che andava verso la modernità>. Il suo stile fu certamente innervato dalla scuola dell’Impressionismo, da lui ben conosciuto e praticato negli anni parigini, anche se si tratta di un impressionismo del tutto personale e sui generis: veloce, dinamico, coloratissimo, dove molteplici furono gli influssi e gli sperimentalismi, tanto che non appartenne a nessuna scuola o corrente artistica e non ebbe seguaci. <Anche nell’uso del colore Brass percorre un itinerario originale e personale> continua Romanelli spiegando la sua assoluta unicità. <Fu anche importante collezionista e tra gli attori principali della vita culturale veneziana. Curò mostre e fu in varie commissioni di restauro, come quello per la Palla d’Oro> prosegue Pascaline Vatin. Comprò e restaurò l’Abbazia Vecchia della Misericordia, profondamente danneggiata dopo un bombardamento, per farne il suo studio e sede della sua raccolta di opere d’arte antica in cui figuravano opere di Tintoretto, Tiziano e Veronese. Un posto, divenuto punto di riferimento culturale, che era frequentato da persone come Gino Damerini, Nino Barbantini e tanti altri intellettuali dell’epoca.
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