Incantano per l’equilibrio stilistico e la scelta dei materiali sostenibili le onomatopee architettoniche dell’archistar giapponese Kengo Kuma, allestite a Palazzo Franchetti a Venezia nella mostra “Onomatopoeia Architecture”, a cura di Chizuko Kawarada e Roberta Perazzini Calarota, realizzata da ACP Art Capital Partners, in collaborazione con lo studio internazionale Kengo Kuma and Associates. L’esposizione, visitabile fino al 26 novembre, presenta ventidue maquette dei suoi edifici più celebri divisi in tredici onomatopee. Una mostra in cui l’architetto vuole sottolineare il modo con cui crea un dialogo con i materiali più contemporanei e le tradizioni giapponesi. Kuma, conosciuto come il poeta dell’architettura, realizza con materiali sostenibili di recupero le sue costruzioni, che si adagiano leggere sul terreno creando una fusione e un dialogo dove cose e persone si ricongiungono: opere dove l’architettura si fa ambiente, diventando un’esperienza in cui immergersi che coinvolge tutti i sensi.
Kengo Kuma è uno dei più innovativi ed apprezzati architetti nel panorama internazionale, molto sensibile ai temi della sostenibilità. Nato a Yokohama nel 1954, Kuma studia nel dettaglio ogni sito dei suoi progetti, creando architetture in dialogo con l’ambiente e radicate nello spazio e nel tempo. Negli anni ‘70 Kuma si iscrive alla facoltà di Architettura all’Università di Tokyo confrontandosi con maestri del tempo come Kenzo Tange, rinomato per il suo ampio uso del cemento. Ma Kuma si scopre outsider, per lui i materiali sono indissolubilmente legati al luogo: <Attraverso il materiale possiamo imparare a conoscere il luogo ed avvicinarci alla sua specificità. Diventando amico dei materiali, ho potuto imparare le cose più importanti> afferma l’architetto, che nei suoi progetti usa materiali da costruzione nuovi e a volte antichi. Kuma si afferma sulla scena internazionale dopo aver realizzato l’allestimento per il padiglione del Giappone alla Biennale d’Arte del 1995. Da allora suoi progetti, oltre 400 tra edifici e installazioni, si trovano in tutto il mondo. Tra questi, l’installazione per il distretto della ceramica a Reggio Emilia e il Centro Congressi della fiera di Padova.
Partendo dall’onomatopea, che è l’atto di creare o usare parole che includono suoni simili ai rumori ai quali si riferiscono, Kengo Kuma dà forma alle sue architetture sostenibili. Riscoprendo le tradizioni giapponesi e i suoi materiali più utilizzati – legno, carta e metallo – l’architetto decide di reimpiegarli in modo più contemporaneo, con un approccio progettuale tattile e sensoriale. Gli edifici che progetta sono spesso contaddistinti da leggerezza e richiami ritmici musicali. <L’onomatopea pone architettura ed esseri umani sullo stesso piano. – spiega Kuma – Gli architetti non sono a capo dell’architettura, ma camminano attorno ad essa insieme ai fruitori. – e continua – È un nuovo modo di fare architettura e di utilizzare i materiali. Nel XX secolo gli architetti utilizzavano più la geometria, ora invece hanno bisogno di inventare un linguaggio innovativo, una combinazione tra la natura e l’umano. Cerco sempre di trovare morbidezza e un contatto caldo con i materiali>.
Corrisponde all’onomatopea Guru Guru, che si ispira a tutto ciò che è circolare e vorticoso, il nuovo museo dedicato ad Hans Christian Andersen in Danimarca, dove percorsi arrotondati e curvilinei evocano le fiabe e il mondo incantato dell’autore, progettando un sogno infinito da regalare ai bambini. Diversa invece è Para Para, l’onomatopea che, in un’alternanza tra pieni e vuoti, utilizza pezzi di piccole dimensioni che lavorano insieme in modo democratico con cui Kuma ha realizzato il nuovo Stadio Nazionale per le olimpiadi di Tokyo nel 2020. Per niente invasivo è poi il portale della Cattedrale Galilée de Saint-Maurice ad Angres del 2020, dove la solidità e le piegature dell’onomatopea Giza Giza ben si integrano con le architetture pregresse 700esche; mentre seguendo Zara Zara, l’onomatopea che si rifà ai canoni di grezzo e percezione, è realizzato il Victoria & Albert Museum di Dundee che si ispira alla ruvidezza naturale degli scogli con l’intento di creare un’interazione e armonia tra l’edificio in calcestruzzo grezzo e il fiume che passa accanto. Diversa invece l’onomatopea Pata Pata, che corrisponde ai criteri di leggerezza, riproposta in una struttura ad incastro completamente senza chiodi ad Arte Sella. Infine, stupiscono le scale di sicurezza progettate per Casa Batllò di Gaudì a Barcellona: <Qui onde e linee con kilometri di catene metalliche provano a creare un nuovo segno organico e di design in omaggio a Gaudì, ispirandosi all’onomatopea Moja Moja> dice Kuma. Completano infine la mostra due realizzazioni site specific: “L’albero della barca” che, proiettata in avanti, si regge solo su uno spago sfidando le leggi gravitazionali, interamente realizzata in legno di castagno veneto pensato per resistere all’umidità proprio come i pali su cui è fondata Venezia, e “Laguna”, alta oltre 5 metri e realizzata in foglio di alluminio sabbiato con sabbia del fiume Piave, che ricorda con giochi di luce un’onda della laguna o una rete da pesca grazie al movimento sinuoso.
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