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Marta: fare il medico è rendersi disponibili alle persone

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I sogni e le aspirazioni di una giovane laureanda in medicina e chirurgia

«Io credo che la salute sia un diritto di tutti – racconta Marta, laureanda in medicina e chirurgia di Mestre – se manca viene meno qualsiasi aspirazione di vita, è qualcosa che va oltre il genere, la cultura, la nazionalità, è un principio universale che non dovrebbe mancare in nessuna società, ma anche in quelle avanzate, come il nostro Paese, inizia a vacillare questa sicurezza, è per questo che ho deciso di intraprendere questa carriera, perché sento una naturale inclinazione all’impegno per un bene comune, che reputo fondamentale».

Marta è all’ultimo anno di università, le manca solo un esame e sta lavorando alla sua tesi. Studia in un ateneo del Nordest e dopo anni da fuorisede e un’esperienza sul campo in uno dei Paesi più povero dell’Africa sta svolgendo un periodo di tirocinio in uno studio di medicina generale della sua città. «Per come lo intendo io fare il medico ha una valenza particolare, vicina al concetto di salute definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che va oltre all’assenza di malattie ma abbraccia anche la sfera psicologica, fisica e sociale, per questo sento di essere al posto giusto e spero di potermi rendere utile».

Foto di SELF Magazine da Flickr
Cosa significa fare il medico oggi?

«Penso che oggi il medico abbia davanti a sé delle sfide per garantire questa salute a 360° per i propri pazienti – spiega Marta – perché non basta essere una figura di riferimento nell’ambito della salute, per come la intendo io svolgere questa professione richiede soprattutto di diventare una persona di fiducia, un punto di riferimento a cui chiedere consiglio e supporto anche in situazioni di difficoltà legate a casa, famiglia, lavoro, perché quando si perdono diritti e certezze in qualche modo anche la salute ne risente».

«Pensare di poter fare medicina in questo modo – continua – non solo scrivendo ricette e prescrivendo cure, ma dando effettivamente un supporto alle persone, diventando un supporto costruendo un rapporto di fiducia reciproca è quello che mi spinge a superare tutte le difficoltà del percorso, la salute è un tema che emerge laddove ci sono preoccupazioni, malessere, guerre che affliggono il mondo ma anche in tutto quello che ci circonda e non serve andare molto lontano per poter dare il proprio contributo per migliorare la situazione».

Foto di Mark Evans da Flickr
Che caratteristiche personali servono per fare il medico?

«E’ un lavoro che viene definito gravoso – racconta la studentessa – ma penso che lo sia per chi non ha le caratteristiche giuste, non si tratta solo di studiare tanto, non basta un titolo accademico per sentirsi un medico, quella è la base, mi rendo conto che è difficile, ma penso che per fare bene questa professione serva empatia, ascolto e disponibilità verso gli altri. Mi piace pensare che tutti i medici dovrebbero essere così, avere quel qualcosa in più che possa fare la differenza e molto dipende dalla voglia di mettersi in gioco».

«Io sono stata fortunata – spiega – ho incontrato molti dottori con queste caratteristiche, che non si limitavano alla prescrizione ma che costruivano un dialogo coi pazienti e le loro famiglie. In ambiti più tecnici se ne può fare a meno, ma per alcune specialità sono caratteristiche fondamentali, come nel caso del medico di base. Anche se soffre lo stigma di essere meno specializzato, questa funzione ha voce in capitolo su un intero territorio rappresentando fino a 1800, assumendo quasi un ruolo “politico”, di rappresentanza, la responsabilità così è duplice e non si esaurisce alla chiusura dello studio medico».

Foto di agilemktg1 da Flickr
Un futuro da medico: sogni e realtà

«Per il mio futuro mi auguro quello che sogno per la sanità – confida Marta – ovvero che sia rispettata la natura pubblica del sistema sanitario, soprattutto mi sta a cuore il tema dell’accesso universale alle cure, l’avanzare della privatizzazione mette a rischio questo principio, mentre le prestazioni sono minacciate io vorrei una sanità che vada incontro alle persone e non il contrario, dando più spazio a prevenzione e promozione stessa della salute, anticipando problematiche piuttosto che dover fronteggiare patologie in futuro, purtroppo però abbiamo alle spalle più di 30 anni di mancanza di finanziamenti dirottati verso altri ambiti e soggetti».

«Negli ospedali oggi si parla più di soldi che di pazienti – conclude – che per i manager sono addirittura retrocessi a “utenti”, all’interno di strutture che sono diventate aziende a tutti gli effetti, io penso che la salute dovrebbe tornare a essere gestita da professionisti del campo, gli stessi medici dovrebbero fare rete fra loro, comprendendo il loro ruolo su e per un territorio. Sei anni di studio sembrano lunghi ma per me, con la giusta dose di passione, sono stati veloci. Non ho ancora deciso che specializzazione fare, ma mi piacciono le alternative più a contatto col paziente e meno “intriganti” come medicina generale, medicina d’urgenza (pronto soccorso) e psichiatria, meno appetibili ma che garantiscono un rapporto diretto con le persone, proprio quello che cerco non solo per realizzarmi come professionista, ma proprio come medico».

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