Il 77% delle coltivazioni agricole nel mondo è destinato alla produzione di carne e prodotti caseari: bisogna occupare 369 metri quadri di terreno per produrre un chilogrammo di carne bovina ma ne occorrono solo 6 metri quadri per produrre un chilo di uova.
Per avere tutto questo suolo a disposizione si ricorre spesso al disboscamento: la produzione di carne, infatti, è sicuramente una delle principali cause della deforestazione della foresta amazzonica brasiliana e, secondo il Guardian, vengono abbattuti ogni anno tra i 280 e i 320 chilometri quadrati di foresta per fare spazio alle coltivazioni che sfamano il bestiame. La produzione di carne bovina, inoltre, è responsabile del 14-22% del gas serra: per ottenere un chilo di carne senza osso servono 30 chili di cereali.
Ciascuno di noi ha tante responsabilità: nei confronti di sé stesso e della propria famiglia innanzitutto, ma anche nei confronti della comunità, della società in cui vive. Quando parliamo di ambiente dobbiamo pensare che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema sono un’unica realtà che vive e si sviluppa attraverso processi osmotici: la mia vita, le mie scelte hanno ripercussioni immediate sul benessere del mondo che mi circonda.
Il termine One Health (un’unica salute) significa esattamente questo: un approccio globale per raggiungere la salute globale. Oggi One Health è diventato un movimento internazionale basato sulla cooperazione interdisciplinare ed è riconosciuto dalle principali istituzioni mondiali: la Commissione Europea, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, la Banca Mondiale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la FAO, l’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale (OIE), diversi istituti di ricerca, associazioni non governative ONG e molti altri.
E, allora, noi cosa possiamo fare nel nostro piccolo mondo? Prima di tutto cominciare a pensare che non viviamo nel nostro piccolo mondo, ma che siamo partecipi, sempre e quotidianamente, della grande avventura della vita sulla Terra e che le nostre scelte, il nostro stile di vita, oggi ancora più di ieri, condizionano e condizioneranno il futuro del nostro pianeta perché la sua capacità di sopportare e di smaltire i prodotti inquinanti, derivati dalla produzione dell’industria e dell’agricoltura, ha raggiunto i propri limiti.
Non abbiamo più tempo! Pensiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti! Incominciamo dalle cose semplici, dalle nostre scelte inserite nella quotidianità. Preferiamo, ad esempio, gli alimenti a filiera corta – scegliendo i cibi che accorciano il percorso che fanno dal produttore al consumatore, i cosiddetti prodotti a chilometri 0 – poi cominciamo a mangiare meno carne, preferiamo il pollame o la carne suina, assumiamo più porzioni vegetali, scegliamo per una volta alla settimana la nostra giornata vegetariana, riutilizziamo gli avanzi, riduciamo le porzioni al ristorante, non sprechiamo il cibo quando mangiamo in mensa. Perché il 30% del cibo viene sprecato e allora: proviamo a sperimentare nuove ricette per riutilizzare gli avanzi di cucina, portiamoci a casa il cibo avanzato al ristorante, facciamo compostaggio.
La buona politica può incrementare la disponibilità di cibo dal 100 al 180%, ad esempio, sostituendo i cereali con specie non alimentari per produrre i biocarburanti. Una buona politica deve sostenere gli agricoltori che riducono l’uso dei fertilizzanti, che migliorano la gestione del letame, che tutelano i bacini idrici.
Il medico di famiglia non può e non deve essere estraneo a tutto questo, allo sviluppo di una cultura ecologica che non rappresenti solo uno slogan banale ma possieda in sé i significanti di: responsabilità, informazione, educazione alla salute, spinta motivazionale al cambiamento. Il medico di famiglia oggi deve essere anche questo: un cittadino competente, responsabile pienamente inserito nella comunità e promotore di una visione globale della salute.
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