«Le difficoltà appartengono alla realtà della vita», spiega il Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, nel corso dell’assemblea diocesana per i gruppi d’ascolto, tenutasi sabato 28 ottobre presso l’Istituto Salesiano San Marco della Gazzera.
Il Patriarca ha voluto iniziare la sua riflessione evidenziando una delle difficoltà nell’essere portatori di un messaggio di fede: «Se io devo annunciare agli altri la bellezza della preghiera devo averne il gusto, devo avere una motivazione interiore profonda per cui io dica agli altri che pregare è bello, necessario e che cambia la vita». Pertanto, per veicolare un messaggio di fede, si deve possedere una convinzione interiore, che consiste nel vivere quotidianamente la gioia e l’impegno della preghiera.
«In genere – continua Moraglia – dove non ci sono le difficoltà non c’è vita reale. Le difficoltà sono presenti quotidianamente nella nostra vita; ci sono e ci saranno anche nei gruppi di ascolto».
Il Patriarca evidenzia che la grandezza numerica di coloro che partecipano ai gruppi di ascolto o il loro specifico target non rappresentano necessariamente un ostacolo alla possibilità di sperimentare esperienze profonde e significative.
«Anche se il mio gruppo di ascolto è piccolo ma si fa un’esperienza bella, quel gruppo esiste e cambia qualcosa nella Chiesa». Il Patriarca invita i fedeli a evitare il confronto basato unicamente sul numero di partecipanti e sugli aspetti esteriori della pastorale sottolineando che, sebbene sia comune la tendenza a giudicare in base a questi criteri, tale approccio non dovrebbe prevalere. «Se il padre eterno avesse ragionato così – continua Moraglia – non avrebbe scelto Nazareth, una ragazzina di 14 anni e uno dei popoli meno significativi da un punto di vista politico e militare del primo secolo a.C.».
Dunque l’essenza dei gruppi di ascolto che non risiede nella loro dimensione, bensì nella qualità del dialogo, nell’approfondimento e nell’applicazione pratica della Parola di Dio.
«Dobbiamo considerare una nuova prospettiva nei confronti della Bibbia, affinché non sia pensata solamente uno dei numerosi libri presenti nelle nostre librerie», aggiunge mons. Moraglia. «La Rivelazione è una persona o un fatto che giunge attraverso la sacra Scrittura».
Il rischio è che le persone tendano ad interpretare la Scrittura come vogliono: bisogna piuttosto leggerla nella sua totalità a partire dalla tradizione della Chiesa in una mentalità di fede.
«Un nostro problema – aggiunge il Patriarca – è che illustriamo e interpretiamo la messa, la liturgia dell’eucaristia a partire dalla nostra esperienza umana. La tristezza e la gioia sono sentimenti umani che noi proiettiamo sulla Scrittura».
È necessario quindi interrogarsi sul potenziale dell’essere umano di abbracciare la vita proiettando su di essa i valori intrinseci della fede, della speranza e della carità oppure se sia la vita stessa dell’essere umano a fungere da faro, riducendo così queste virtù: la fede si trasforma in affermazioni come “dicono che accadrà così”, la speranza si limita a un banale “speriamo di farcela” e la carità si restringe a un semplice “voglio bene a chi dimostra affetto verso di me”.
Le testimonianze tramandate nella Bibbia vengono ascoltate con fede e condivise tra i credenti. Attraverso la partecipazione e la condivisione all’interno della comunità ecclesiale di quegli scritti si compie un’esperienza di salvezza personale attraverso il Libro Sacro.
«Il valore intrinseco di un gruppo di ascolto – aggiunge mons. Moraglia – sta nell’avere un luogo dove Gesù Cristo parla alla sua Chiesa e converte le persone rendendole diverse da come erano prima».
Il messaggio del Patriarca è chiaro: dobbiamo tornare a quel senso della Parola di Dio che è trasmessa nel Libro. «L’entusiasmo nei confronti di questa esperienza, l’opportunità, lo studio ecclesiale. È importante riscoprire qualcosa che certamente sappiamo e riuscire a vivere gli incontri dei gruppi d’ascolto come momenti sacramentali», conclude infine il Patriarca.
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