Che cosa accumuna fra loro i Paesi che si affacciano sul Mediterraeo, ma soprattutto fino a dove arriva l’influenza di questo mare sulla terra ferma? Mario Tozzi, noto geologo e divulgatore scientifico, ospite della Fondazione Giancarlo Ligabue al Museo di Storia Naturale di Venezia, ha chiuso il ciclo di eventi Incontri_23 lo scorso 30 ottobre provando a dare una risposta mettendo insieme la scienza con la tradizione, cercando di spiegare come da una rilettura epistemologica della storia, sia possibile non solo spiegare alcuni fenomeni ma anche dare loro una verosimiglianza.
Rileggere la storia con strumenti nuovi, può infatti cercare di ricucire lo strappo che a un certo punto ha diviso la conoscenza fra discipline, ricordando che nell’antichità interessarsi contemporaneamente di scienza e filosofia era la prassi, perché i saperi sono molto più affini rispetto a come l’uomo moderno li ha confinati. «Su questa scia, il futuro potrebbe essere proprio unire ricerca e divulgazione», ha spiegato Inti Ligabue, presidente della fondazione che porta il nome del padre, introducendo Mario Tozzi.
«Per definire l’influenza del Mediterraneo sui Paesi che sono bagnati dalle sue acque – racconta il geologo – si è provato ad associare la diffusione di colture, dalla vite agli ulivi, fino al grano e ai prodotti derivati per dare forma alla sua portata. Ma tutti questi elementi insieme non erano unici. Dal punto di vista sanitario si tratta anche di una delle zone dove hanno proliferato varie epidemie grazie al commercio col vicino Oriente, non è un caso che proprio Venezia ospitasse ben due lazzareti e abbia re-inventato il significato della parola “quarantena” e “contumacia”».
«A ben vedere nessuno di questi elementi però definisce in modo univoco la sfera d’influenza economica, sociale e culturale del Mediterraneo – chiarisce il ricercatore del CNR – oltre alla malattie qui il loro ruolo simbolico ha avuto anche tracce di fiorente rappresentazione, per esempio con Apollo che scaglia dardi infetti fra gli achei o che schiaccia la testa dei topi per ridurre il contagio. Forse l’unico elemento in grado di definire questo mare e la sua influenza è proprio il mito in sé, seppure non sia esclusivo di questa area, le sue forme sono fra le più antiche e persistenti, considerando che alcune narrazioni, con adattamenti e rivisitazioni, sopravvivono all’interno di culture e civiltà differenti, mantenendo il proprio significato».
«Basta pensare per esempio al diluvio universale, è davvero accaduto qualcosa di simile? – si interroga Tozzi – se consideriamo il mito come la risposta alle cause di eventi accaduti in un’epoca in cui non esisteva la scienza, ecco allora che è possibile trovare traccia di questo evento già nell’epopea di Gilgamesh in Mesopotamia, si è infatti scoperto che 7500 anni fa il mar Nero era un lago, diviso da una diga naturale dal Mediterraneo e a causa dello scioglimento di una glaciazione una marea di acqua vi si è riversata e ci sono voluti ben tre secoli perché il livello delle acque si equiparasse».
«Anche i terremoti sono interessanti da ritrovare nelle cronache antiche – prosegue il geologo – nella zona dei Campi Flegrei le così dette lotte dei giganti con Eracle e il mortale Averno possono essere riletti come movimenti tellurici ed esalazioni gassose. Nel Giappone perché sono così bravi a fronteggiare il rischio sismico rispetto all’Italia? La differenza culturale è spiegabile col mito e la geologia: i giapponesi spiegano tramandano questo fenomeno con l’intervento della divinità Namazu, un pescegatto che coi movimenti della coda provoca un terremoto, dando la responsabilità a un animale che vive negli stagni e sottoterra assieme ai suoi figli, che sarebbero responsabili delle scosse minori. Namazu non è però odiato nelle sue rappresentazioni antiche, la sua azione viene vista come un’opportunità di rinnovamento».
«L’Italia invece, area monoteista ma pur sempre con più di 1500 santi – continua lo scienziato – per il terremoto identifica un protettore, Sant’Emidio di Ascoli, visto che le scosse sono più rare e la loro memoria si perde nel tempo, assumendo un approccio fatalista per cui eventi naturali sono percepiti come catastrofi. Lo stesso approccio si verifica con le eruzioni vulcaniche, come quando nel 1944 i fedeli sul Vesuvio mostravano alla lava una pala di San Sebastiano per difendersi, tenendo pronto però anche San Gennaro, se il primo santo non avesse funzionato».
«Restando nella tradizione è interessante riuscire a spiegare alcuni fenomeni come il mito dell’oracolo – racconta Tozzi – una figura che sopravvive ancora oggi. Le sue origini risalgono a Malta e alla cultura greca, soprattutto nel tempio di Apollo a Delfi, dove erano presenti le celebri pizie che andando in trance fornivano i loro responsi ai sacerdoti. Le spiegazione? Sotto ai templi erano presenti faglie, spaccature che generavano movimenti tellurici che liberavano gas per combustione di idrocarburi, le povere pizie quindi esalavano questi vapori ad alto contenuto di etilene, che dà luogo a fenomeni psicotropi. Va detto che però i sacerdoti si erano ingegnati per mantenere sempre attivo questo “servizio”, grazie all’uso di oppio in assenza di movimenti della faglia».
«Anche il mito di Atlantide recentemente sembra aver trovato soluzione – conclude il geologo – dagli scritti di Platone del 399 a.C. che la descrivono è possibile identificare questa terra come la Sardegna di epoca nuragica, sommersa da uno tzunami non 9.000 anni prima ma bensì 700 e le colonne d’Ercole descritte sarebbero fra Sicilia e Tunisia prima che Eratostene di Cirene le spostasse nella sua opera di cartografia per mantenere Delfi il “centro del mondo”. Da qui i sardi emigrati potrebbero aver dato origine al popolo degli etruschi, che non a caso non ha mai costruito città sul mare e nelle tombe più importanti hanno sempre inserito dei bronzetti simili a quelli nuragici. Insomma una rilettura del mito può dare molti stimoli all’applicazione della scienza, ma soprattutto imparare dalla sua caratteristica di amalgamare e unire le culture del Mediterraneo, che invece ora sono divise, se una volta chi veniva dal mare portava qualcosa, oggi il timore è che lo porti via, non che i conflitti non ci fossero anche in tempi antichi, ma c’era più umanità e rispetto per chi credeva in qualcosa, mito o religione che sia, questo forse dagli antichi dovremmo recuperarlo».
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