Oggi parliamo di una nuova patologia, comparsa da poco tempo e poco nota: le vene varicose. Ecco: vedo già uno che alza la mano per dire che lui la conosceva già ed un’altra che lei le ha da almeno vent’anni. C’è sempre quello che non ci crede e dice che è un complotto. E poi quelli più saggi che dicono che ci sono da sempre. Mi è andata male non ho fatto una scoperta. Le vene varicose, infatti, sono note da secoli come pure le loro cure, che si perdono nella notte dei tempi.
Dai guerrieri sciti con le loro fasciature a gambale, passando per Galeno (130-200 d.C.), con i suoi bendaggi di lana-lino e con la citazione di una fasciatura incollata, con lo scopo di non far refluire verso il basso il sangue o di compresse imbevute di vino, arriviamo a Michele Savonarola padovano (1384-1468), contemporaneo di Donatello – e nonno del frate domenicano Girolamo Savonarola, quello che bruciava i libri e finì piuttosto male – che nel suo “Pratica” sollecitava a bendare “da distale a prossimale”. Cosa che, in realtà, facciamo anche oggi, magari con mezzi più moderni come le calze, ma il concetto è assolutamente lo stesso.
I mezzi e i materiali, però, hanno fatto molti passi in avanti. Nel 1864 venne fondata a Winterthur in Svizzera una delle prime fabbriche di materiali elastici per questi usi, la Ganzoni, che utilizzava gomma naturale. Le attuali calze elastiche con elastomeri sintetici appaiono invece nella seconda metà del Novecento: nel 1958 si ottenne la fibra Lycra e dal 1962 iniziò la produzione di “calze a compressione”.
Attualmente le aziende produttrici di tutori elastici lavorano con fili sintetici, in grado di estendersi fino a 5-6 volte la lunghezza originaria, così sottili da essere pressoché invisibili, colorabili, resistenti all’attacco di fattori aggressivi, come il sudore, a differenza del caucciù che si deteriora rapidamente. Queste qualità rendono oggi possibile la produzione di calze elastiche terapeutiche di grande robustezza ed efficacia nell’azione compressiva, ma allo stesso tempo dall’aspetto estetico gradevole. Insomma possiamo sceglierle anche belle!
Allora mi direte: adopero le calze, magari prendo anche qualche farmaco e sono a posto? Purtroppo no: a volte si manifestano delle complicanze. La più frequente è che la vena varicosa può infiammarsi e andare incontro a trombosi, la famosa tromboflebite. È un evento meno pericoloso della trombosi venosa profonda, ma da non sottovalutare, specie se si manifesta alla coscia.
Può accadere che una vena varicosa che abbiamo da tempo cominci a farci male, la cute sopra la vena diventi rossa e, mentre prima riuscivo a comprimerla, adesso è diventata dura e non si comprime più. In questo caso è molto probabile avere una tromboflebite… ed è arrivato il momento di andare dal medico. Più è esteso il tratto infiammato, infatti, più è il caso di farsi vedere.
Il medico vi darà subito una terapia locale adatta e forse anche delle iniezioni sottocute. Dato che non è facile stabilire se ci sia una trombosi e di quale importanza, è molto probabile che il medico vi mandi comunque da un angiologo per fare una visita e un’ecografia.
Riassumendo allora: dolore + rossore + vena che diventa dura e non si comprime = medico. Ma la calza può di certo aiutare.
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