La bellezza del capolavoro di Giotto catturata dalla macchina fotografica. È la mostra “Lo Scatto di Giotto. La Cappella degli Scrovegni nella fotografia tra ‘800 e ‘900”, proposta dal Museo degli Eremitani a Padova, curata dai Musei Civici, Biblioteca Civica e Ufficio Patrimonio Mondiale e promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova. L’esposizione, che gode del patrocinio della Commissione Nazionale Italiana UNESCO, del Ministero della Cultura e di ICOMOS e ICCROM, resterà visitabile fino al 7 aprile. Si tratta di un percorso espositivo composito che ricostruisce la straordinaria fortuna visiva della Cappella degli Scrovegni. Il ciclo affrescato da Giotto in soli due anni, tra il 1303 e il 1305, si dispiega sull’intera superficie interna della Cappella narrando la Storia della Salvezza in due percorsi differenti: il primo con le Storie della Vita della Vergine e di Cristo, dipinto lungo le navate e sull’arco trionfale, mentre il secondo inizia con i Vizi e le Virtù, realizzate nella pozione inferiore delle pareti maggiori, e si conclude con il maestoso Giudizio Universale in controfacciata. Un’opera importantissima non solo per la grandezza ma anche perché costituisce il primo esempio artistico che contiene esempi di prospettiva. La prima grande rivoluzione compiuta da Giotto a Padova è infatti nella rappresentazione dello spazio e nella resa della terza dimensione, che anticipa di cent’anni le teorie rinascimentali.
La mostra si affaccia poi al Novecento attraverso le celebri campagne fotografiche Alinari e di Domenico Anderson, il cui valore si intreccia con quello dell’editoria d’arte e di divulgazione. Sarà proprio poi grazie alle campagne fotografiche della Casa Editrice Alinari di Firenze che le immagini della Cappella degli Scrovegni verranno inserite nei cataloghi d’arte a partire dal 1906 e faranno il giro del mondo grazie alle edizioni tradotte in lingua inglese e francese. Ad Alinari si deve anche la prima campagna di fotografie della Cappella degli Scrovegni a colori: siamo nel 1952 e il capolavoro di Giotto è già diventato soggetto di un’opera cinematografica.
Nel 1938 il giovanissimo regista Luciano Emmer realizza infatti il primo film sulla Cappella degli Scrovegni: “Racconto da un affresco”. Girato in 35 mm utilizzando una vecchia macchina da presa Pathé del 1913 e una truka artigianale, usata per realizzare animazioni, riprese speciali, effetti particolari. Emmer eseguì lo storyboard disegnando a carboncino sulle fotografie e riprendendo poi fotogramma per fotogramma, ammettendo che “il film su Giotto può essere considerato il primo film neorealista italiano perché a ben vedere le pareti della Cappella degli Scrovegni sono di fatto una specie di storyboard: mi sono limitato a filmarlo”. Più tardi anche Pier Paolo Pasolini fece suo il capolavoro di Giotto, utilizzandolo esplicitamente nelle scene del Decameron del 1971. L’affascinante immaginario della Cappella degli Scrovegni, sviluppatosi nel corso dei secoli, è anche tema delle più avanzate tecnologie di riproduzione fotografica. La mostra invita infatti l’osservatore ad immergersi anche nella ricostruzione digitale del capolavoro giottesco, concretizzando in un’esperienza nuova la proposta più innovativa avanzata da Giotto nel XIV secolo: che l’osservatore potesse entrare nel racconto che egli stesso aveva realizzato, così come fra Ottocento e Novecento avevano già fatto quanti si dedicarono alla riproduzione dei suoi affreschi.
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