Il centro per disabili Don Orione di Chirignago come obiettivo 2024 vuole aprirsi sempre di più al territorio e diventare un punto di riferimento per la cittadinanza.
Il centro si pone un duplice scopo: da un lato si presta a dare una risposta alle nuove generazioni, diventando un luogo di ampliamento delle loro competenze, mentre da un punto di vista sociale vuole abbattere le barriere dall’esterno che spesso vede la struttura come una realtà chiusa, cosa che ormai non è più.
«Quello che traspare dal nostro lavoro è che le dinamiche sono cambiate, soprattutto con le persone che incontriamo; loro entrano ma anche noi usciamo», afferma la responsabile Fabrizia Scantamburlo. «Che siano volontari, associazioni, commercianti o qualsiasi altra realtà sta cambiando la meccanica di incontro. Non vengo ad incontrare il disabile in quanto tale ma si creano delle relazioni che sono semplici rapporti tra persone».
Il concetto di base, soprattutto per il nuovo anno, è attraverso la costruzione di rete creare un ambiente di familiarità. «Non parliamo più di diversificazione tra le persone ma parliamo di pari opportunità ed una mentalità e sensibilità che dal punto di vista sociale e territoriale sta cambiando», interviene la psicologa Andreea Rinja.
Inoltre, un altro punto fondamentale è la collaborazione con le scuole. La struttura dispone infatti di una cucina, di una falegnameria e di un’azienda agricola dove i giovani hanno l’opportunità di fare stage.
«Quest’anno i ragazzi, rispetto all’anno scorso, erano maggiormente coinvolti», racconta Andreea Rinja. «Presentarsi con questa curiosità ha permesso a chi vive qua di lasciare un pezzo di sé».
Nel centro Don Orione vivono 70 persone con età compresa tra i 18 e gli 80 anni.
La particolarità consiste nel fatto che l’età, una volta entrati nella struttura, diventa solo un numero, permettendo alle persone di trovare la propria dimensione.
Il centro segue persone con diverse disabilità, come l’autismo, più o meno accentuate; tra gli individui si crea un legame molto forte. «I nostri ospiti più autosufficienti si mettono a disposizione di chi ha una ridotta mobilità o un codice linguistico diverso», racconta la psicologa.
Per realtà come il centro Don Orione il covid-19 ha portato dei cambiamenti significativi. Se prima c’era un maggior coinvolgimento dall’esterno e desiderio di creare relazioni, con la chiusura sono emerse diverse problematiche e si è ricreata una forma di chiusura da parte della comunità. «Adesso sono tornati la voglia e il desiderio di un “riscatto” sia da parte della nostra famiglia don Orione di emergere, uscire e mettersi in gioco territorialmente sia da parte della società di comprendere di più la nostra realtà», spiega Andreea Rinja.
Fondamentale inoltre risulta anche la collaborazione con altre associazioni del territorio che permettono a questa realtà di riemergere insieme ad altre per diventare dei punti di riferimento per la cittadinanza.
La mentalità sta cambiando rispetto a quali sono le risorse che l’esterno può mettere a disposizione e quelle che il centro può offrire.
«Anche semplicemente i progetti organizzati con i giovani. Gli studenti hanno l’opportunità di imparare mestieri pratici come cucina e giardinaggio direttamente dai residenti del centro», descrive Fabrizia Scantamburlo. «Siamo oltre l’inclusività in un comportamento prosociale, dove si cercano le abilità di ognuno per un benessere comune».
Questa interazione intergenerazionale non solo permette agli studenti di acquisire competenze pratiche, ma crea anche uno spazio in cui gli ospiti del centro possono condividere le proprie esperienze e conoscenze con le generazioni più giovani.
«Non è più un distinguo tra persone “abili” che portano qualcosa a chi queste abilità non le ha», racconta Andreea Rinja. «È come se l’asse si fosse invertito e sono loro a lasciare qualcosa a noi».
Il Centro Don Orione ha sviluppato la sua offerta per il territorio adottando un approccio centrato sulla qualità di vita. Questo modello integra elementi chiave come la spiritualità, la determinazione e l’inclusione sociale. Inoltre, si basa sulla ricerca continua per comprendere le necessità e i bisogni degli ospiti.
I residenti della struttura lavorano per le diverse attività proposte dal centro come la falegnameria, la ceramica o l’azienda agricola.
Inoltre, un’altra attività che il centro spera di proporre in futuro è di utilizzare la villa presente all’interno della struttura, appartenuta ai coniugi Palazzo Bisacco, come museo e luogo di eventi culturali.
Attualmente l’edificio ospita gli uffici dell’amministrazione del centro ma la speranza è quella di riportarci gli arredi dell’epoca e farla diventare un museo dove gli ospiti del centro possano lavorare come guide o guardasala.
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