Perché parliamo di fragilità? Innanzitutto perché se ne parla pochissimo, quasi fosse un argomento tabù, un argomento innominabile, da censurare. Poi evitiamo di parlarne perché farlo ci dà fastidio: in realtà discutiamo di qualcosa che comunque saremo costretti a subire un domani, con tutte le sue nefaste conseguenze: il disagio della fragilità.
Tutti noi abbiamo già avuto esperienze dirette in questo senso: la malattia cronica di un proprio caro, un’esperienza di assistenza diretta o indiretta a un malato terminale, un ricovero di opportunità in casa di riposo. Potremmo quasi dire che essere fragili è diventato un “luogo comune” nella nostra realtà sociale.
Il Sistema di sorveglianza Passi d’Argento è un sistema di sorveglianza della popolazione sopra i 64 anni coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che funziona dal 2014 e che prende in considerazione alcuni aspetti di salute e di malattia seguendoli nel tempo. Pubblicando questi dati, Passi d’Argento fornisce statistiche estremamente utili a coloro che si interessano alla promozione della salute fisica e psichica della popolazione anziana.
Nella pratica questo gruppo di ultra 64enni viene suddiviso in 4 sottogruppi: buona salute con basso rischio di malattia, buona salute a rischio di malattia, soggetti a rischio di disabilità e individui con disabilità accertata. Non è cosa molto risaputa, ma questi 4 gruppi sono i più frequenti utilizzatori di risorse sanitarie.
Passi d’Argento definisce “anziano fragile” una persona con più di 64 anni di età con una carente autonomia nelle funzioni esistenziali complesse, le cosiddette IADL, come accade ad esempio nell’utilizzare il telefono, fare i lavori domestici, preparare il cibo, gestirsi economicamente. I dati aggregati per regione nel periodo 2017-2020 ci dicono che nel Veneto i fragili superano il 17% della popolazione mentre i disabili sono più del 15%.
Un quinto di questi soggetti deve pagarsi di tasca propria l’aiuto di un assistente; il motivo di questo dato può dipendere da svariate ragioni come, ad esempio, dalla mancata richiesta all’Inps del riconoscimento di invalidità oppure da una condizione di povertà assoluta o relativa.
Talvolta il paziente fragile è sconosciuto dalle istituzioni, ma difficilmente sfugge al proprio medico di famiglia: saperlo individuare ritengo sia una delle priorità cliniche e sociali che primeggia tra i doveri del medico di medicina generale.
Il riconoscimento precoce di questa condizione, di concerto con la figura dell’infermiere di famiglia, sicuramente migliorerebbe la qualità di vita di una grossa fetta della popolazione nel nostro territorio. L’inerzia nel fare non è più giustificata.
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