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Garattini: una farmacologia libera da brevetti è possibile

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Ospite dell’Università Ca’ Foscari il ricercatore ha trattato il tema del diritto alla salute

Può uno scienziato provare a sovvertire le regole del gioco di un mercato complesso e specifico come quello farmaceutico? La sfida sembra impossibile, ma il ricercatore non è uno studioso qualunque, si tratta di Silvio Garattini, fondatore nel 1961 dell’istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” di Milano, che dall’alto dei suoi 96 anni con il suo libro “Brevettare la salute, una medicina senza mercato”, si interroga sul ruolo della proprietà intellettuale nella medicina, che spesso è più un ostacolo che uno stimolo alla ricerca e alla diffusione della conoscenza.

«Sembra impossibile? – si chiede l’esperto – anche la creazione del Sistema Sanitario Nazionale e la chiusura dei manicomi lo erano finché non si è deciso di farlo. C’è un percorso che si può sviluppare, anche in tempi rapidi, ma bisogna avere un’idea». Nel contesto degli appuntamenti delle “Letture cafoscarine” il giorno 8 febbraio nel campus economico di San Giobbe, con il coordinamento della professoressa Alessandra Zanardo, il medico ha affrontato la questione giuridica dal punto di vista di uno scienziato, dialogando assieme agli esperti legali Vincenzo di Cataldo (ordinario dell’Università di Catania), Mario Libertini (professore emerito della Sapienza di Roma) e Francesca Rotolo (dottoranda di Ca’ Foscari).

Farmaci generici o di marca: questione di principi attivi

«La prima cosa da fare? – si interroga Garattini – è abolire il marchio, perché avere un brevetto se un farmaco ha una descrizione del principio attivo e il nome chimico è disponibile e descrive le caratteristiche del contenuto? All’università i medici studiano i nomi generici, quelli commerciali li devono imparare quando si affacciano alla professione. La marca non esprime niente di particolare e spesso è solo fonte di confusione tra nomi di fantasia e principi attivi. Esistono 1318 principi attivi e più di 12.000 confezioni di farmaci, sono tutti necessari e innovativi? Parliamo di un mercato che in Italia nel 2022 ha generato 34,1 miliardi di euro di cui 23,5 miliardi a carico del Sistema Sanitario Nazionale».

«Sono davvero necessari tutti questi doppioni o sono solo di interesse per chi li produce? – si chiede lo scienziato – mancano degli studi comparativi e l’approvazione ormai è solamente a livello europeo attraverso l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA). L’attenzione e la pressione per fare brevetti, che sta interessando anche il settore pubblico con le università, riduce la ricerca di base che è quella che porta la maggior conoscenza e compromette l’indipendenza perché si finisce per tutelare solo i propri interessi. Tutto questo grava doppiamente sul pubblico che, cedendo i brevetti, poi li paga due volte quando acquista i prodotti derivati. Quando un brevetto scade tutti possono fabbricare quel farmaco, abbassandone il prezzo, ma in Italia solo il 30% dei farmaci consumati è generico, contro il doppio di Francia e Inghilterra, resta una convinzione infondata che il prodotto a marchio sia migliore e più sicuro».

L’impatto dei brevetti sulla ricerca farmacologica

«Un brevetto dovrebbe comportare un’innovazione – spiega il ricercatore – invece ci sono troppi farmaci fotocopia perché non sono richiesti studi comparativi per la loro approvazione questo comporta che negli studi l’unica alternativa al medicinale sia il placebo per i gruppi di controllo. I requisiti per un nuovo farmaco sono la qualità, l’efficacia e la sicurezza, a mio parere andrebbe aggiunto anche il valore terapeutico per poter essere approvati, senza vantaggi evidenti non ha senso creare duplicati. Un altro problema di fondo è che nel test si fanno studi prevalentemente sui maschi, sia umani che animali, quando i generi non sono uguali in farmacologia».

«Si testano su maschi dai 20 ai 65 anni e poi vengono prescritti a bambini, anziani, donne in età fertile, gravide e in menopausa, perché le femministe non protestano per questo? – si chiede il medico – ad esempio l’infarto è profondamente diverso fra uomo e donna, tanto che quest’ultima si rivolge spesso al gastroenterologo invece del cardiologo. Io penso che i farmaci dovrebbero andare alle categorie per cui sono stati studiati, visto che maschi e femmine gestiscono livelli di tossicità diversa, la ricerca dovrebbe quindi seguire almeno due canali paralleli. Poi si dovrebbe pensare a chi ha meno diritto alla salute: ci sono circa 7000 malattie rare di cui soffrono due milioni di italiani, che sono scoperte di cure. Si tratta per il 40% di tumori rari e negli ultimi 25 anni abbiamo prodotto solo 200 farmaci per patologie non comuni. Ci sarebbe molto da fare».

Un nuovo modello: impresa no profit per la farmacologia del futuro

«Una società matura che ritenga la salute come bene prioritario dovrebbe arrivare a concepire una medicina senza mercato – spiega Garattini – ed è un processo che deve partire dal basso, dalla sanità, per fare pressione sulla politica facendo convergere le voci, in modo che la questione emerga. Ci possono essere forme di imprenditoria pubblica e no profit per creare farmaci difficili da reperire, come quelli salvavita, ma anche per affrontare la demenze senili che al momento non interessano l’industria ma anche nuovi antibiotici per combattere la farmaco-resistenza. C’è bisogno poi di trasparenze nell’informazione, la dovrebbero chiedere gli stessi ordini dei medici, perché è tutta in mano alle industrie e la ricerca stessa è poco indipendente».

«Quello del farmaco è un mercato particolare – conclude l’esperto – chi paga per i farmaci, come nel caso del Sistema Sanitario Nazionale è costretto a subire le scelte delle aziende e l’utilizzatore finale non ha voce in capitolo. Lo strapotere dell’industria condiziona l’intero comparto, è entrata anche nelle università e nelle fondazioni. Di questo risente anche la ricerca, che oggi le imprese delegano a startup di cui acquistano i brevetti. Mentre è fondamentale progredire, il vaccino per il Covid-19 è stato fatto in 30 giorni grazie a 20 anni di studi su mRNA pagato dal pubblico. Ma bisogna stare attenti all’entusiasmo sulle nuove terapie geniche, c’è ancora molto da scoprire e sarebbe bene che queste restassero in capo al settore pubblico. Per il momento i farmaci sono ancora la via più sicura, ma dobbiamo cambiare l’approccio, non solo abbandonando l’amore per le marche, ma anche usandoli in chiave di prevenzione, basta pensare che almeno il 40% dei tumori con le giuste terapie sarebbero evitabili».

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