Oggi lo stress è considerato un nemico della felicità sia individuale che nelle relazioni con gli altri. In verità non è sempre così: «L’eustress è letteralmente lo stress positivo; in studi recenti si è dimostrato che mantenere livelli ottimali di ansia ci permette di affrontare con energia determinati compiti».
Lo spiega Simonetta Spinola, pedagogista, che sta aiutando gli accompagnatori (sacerdoti, religiose e laici) della Pastorale universitaria veneziana nella loro relazione con i giovani per il loro cammino verso l’età adulta, sostenuti dalle fede in Cristo che si dona nella sua Chiesa.
Questo anche grazie al Capu (coordinamento attività di pastorale universitaria), realtà che mira a coltivare le relazioni tra giovani universitari, docenti e persone che si affacciano alla realtà della Pastorale universitaria.
Spinola prosegue: «Tutte le relazioni sono energia. È quindi fondamentale mantenere buoni livelli di energia e lo stress ci aiuta in questo senso».
Lo stress “buono” è il motore per la costruzione di relazioni significative, soprattutto ai giorni nostri, quando sembra più importante l’uso di ansiolitici e la rincorsa a modi per evitare la relazione con l’altro, mantenendola a un livello superficiale per non provare ansia di fronte alle difficoltà dell’altro.
Ma allora diventa fondamentale capire cosa sia l’eustress, anche perché non sempre tanto stress equivale a benessere: «Bisogna stare attenti ai predatori di energia», avverte Simonetta. I livelli ottimali di ansia non sono per tutti uguali, ma quando una persona porta allo sfinimento si ha un cattivo dosaggio di stress: in quel caso siamo di fronte a persone che prosciugano tutta l’energia. Tuttavia «la relazione è la cosa più stressante in natura, il rischio fa parte dell’esporsi alla relazione».
La difficoltà più grande nella relazione è andare in profondità: «Mentre i giovani oggi hanno una buona consapevolezza del sé, hanno un problema con la gestione dell’ansia che è sempre vissuta come una cosa negativa e da eliminare: questo non permette loro di costruire relazioni significative».
I giovani infatti rimangono in superficie e spesso si trovano in difficoltà a confidare le proprie ansie ad altri e ciò porta a vivere in maniera insoddisfacente.
Proprio questa è la difficoltà che spesso si vive; tuttavia l’esigenza dell’uomo è sempre la stessa: la ricerca del Vero e del Bello è sempre il focus: «Anche se i metodi cambiano, le ricerche dell’uomo sono sempre le stesse».
Don Gilberto Sabbadin, responsabile della Pastorale universitaria, annota come «questa ricerca di relazione si manifesti ancor più nel rapporto con il Signore, nella comunione che cristianamente viviamo in fraternità».
Ma allora come si può riuscire ad andare più in profondità? Fondamentale diventa la “riparazione”: don Gilberto ricorda la dimensione del perdono. «Il perdono è umanamente difficile; tuttavia è possibile se è accompagnato dalla “gratuità”: una persona che perdona è una persona che cresce e che si relaziona sempre più in profondità con l’altro, ma questo anzitutto a partire da un rapporto di autentica fiducia e affidamento nei confronti del Signore Gesù, sostenuto quotidianamente dalla preghiera e dai sacramenti della Chiesa. Solo se ci si lascia amare e perdonare dal Padre si può davvero amare e perdonare».
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