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Aperitivo al Museo Ligabue di Venezia con le tartarughe

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Inizia il ciclo di appuntamenti di divulgazione per parlare di scienza e ambiente in modo informale

Perché interessarsi di tartarughe a Venezia? Semplice, perché anche se spesso in spiaggia non le vediamo, sono sempre di più fra le nostre acque. La stagione degli “Aperitivi al Museo” del Museo di Storia Naturale Giancarlo Ligabue di Venezia si è aperta giovedì 13 giugno con l’incontro “Un mare di cetacei e tartarughe”, ospite Sauro Pari, Presidente di Fondazione Cetacea in dialogo con Nicola Novarini, esperto di rettili, pesci e anfibi del museo. «Abbiamo pensato di celebrare così l’8 giugno, Giornata Mondiale degli Oceani e il 16 giornata dedicata a questi animali – spiega Novarini – visto che gestiamo anche il Centro di Primo soccorso NetCet del Lido di Venezia».

«Il format dei nostri incontri è informale – ha spiegato Luca Mizzan, responsabile del centro museale – è un’occasione per parlare e interagire con gli ospiti su scienza e ambiente. C’è un bisogno estremo di fare informazione su questi aspetti per comprendere cosa succede intorno a noi, stiamo perdendo una gran quantità di specie animali prima di riuscire a descriverle completamente a causa dei cambiamenti climatici, come istituzione siamo sempre al lavoro per studiare i fenomeni, basta pensare che ci eravamo accorti della presenza del granchio blu già nel 1991, ma abbiamo capito l’importanza di portare all’esterno questo patrimonio di conoscenza». I prossimi incontri, con accesso su prenotazione, avranno luogo sempre nel suggestivo cortile del Fontego dei Turchi l’11 luglio, il 29 agosto e il 19 settembre 2024 .

Sauro Pari: una storia di lotta e difesa degli animali marini

«Io non sono uno scienziato – ha esordito Sauro Pari – nasco giornalista, anche se ero già appassionato di temi ambientali tanto che nel 2004 avevo una piccola casa editrice che stampava giornali su questo argomento. Infatti il direttore e proprietario del Parco Tematico Oltremare di Riccione mi aveva proposto di occuparmi di un organo di stampa per la Fondazione Cetacea, che esisteva già. Alla prima riunione, all’interno del delfinario, arrivò la notizia di due grampi che si erano spiaggiati nel porto di Ancora, erano madre e figlia. Ancora non sapevo che da lì sarebbe cambiato tutto per me».

«La madre non ce l’aveva fatta, ma la giovane femmina – ha raccontato – che dipendeva ancora in toto da lei, passò sotto le cure del Parco, dove facevamo turni di 24 ore attorno a lei. Una notte era il mio turno, ma ero stanco, così mi allontanai per sdraiarmi qualche minuto, ma appena non mi vedeva sbatteva la coda per richiamarmi. Non immaginavo che potesse essere così sensibile, tanto che la presenza di una specie diversa dalla sua la tranquillizzava, facendomi sentire una grande empatia. Talmente forte che sono andato in contrasto con la struttura, l’animale non era autosufficiente ma si poteva costruire un progetto per rimetterla in libertà senza renderla dipendente dall’uomo. Mi hanno cacciato per le mie idee, ma con me è venuta l’intera Fondazione Cetacea, purtroppo la giovane femmina è spirata per un’infezione all’interno di Oltremare, ma in qualche modo ha dato inizio a tutto quello che è venuto dopo, per questo non la dimenticherò mai».

Sauro Pari (a sinistra), dialoga con Nicola Novarini (a destra) nel cortile interno del Museo
La tartaruga marina: una specie da preservare

«Perché parlare di tartarughe quindi? – si è chiesto Novarini – Non solo perché come museo ce ne occupiamo a livello scientifico e di conservazione da decenni, ma perché non sono realmente una novità a Venezia, basti pensare che nell’archivio dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti già nel XIX secolo ci sono scritti in cui il loro tassidermista ne trovava vendute al mercato del pesce. Con il progetto NetCet siamo in rete con tutta la costa adriatica fino all’Albania per la loro tutela. Quello che ci interessa è arrivare al grande pubblico per far comprendere che salvare questi animali significa garantire l’equilibrio marino, visto che sono importantissime e tra le tante cose abbiamo scoperto anche che sono ottimi predatori per il granchio blu, un motivo in più per aiutarle visto che preservano il nostro mare».

«Questi animali sono esposti a diversi pericoli – ha aggiunto Sauro Pari – dalla pesca accidentale alle eliche dei motori, ma con il cambiamento climatico stanno emergendo anche maggiori sensibilità a inquinamento e agenti patogeni. Come Fondazione Cetacea la patologia maggiore che curiamo è la sindrome da annegamento, perché le tartarughe sono rettili e devono respirare aria, ma se restano impigliate a fondo fra le reti rischiano di non sopravvivere. Da quando faccio parte di questa realtà abbiamo curato e rimesso in mare più di 1400 tartarughe, abbiamo un 78% di salvataggi sul totale degli animali che richiedono il nostro intervento, un numero di cui siamo orgogliosi. Abbiamo creato disequilibri spaventosi con l’azione umana nei mari, oltre al cambiamento climatico, basta pensare che il raddoppio delle aperture del Canale di Suez ha stravolto l’equilibrio delle specie marine, con il proliferare di pesce scorpione, pesce palla e il celebre granchio blu. Per questo bisogna tutelare le specie autoctone, come la Caretta Caretta».

Storie di animali dal mare da cui imparare

«Gli aquari raccontano belle favole – ha aggiunto Pari – ma gli animali marini non sono fatti per essere rinchiusi in vasche. In 20 anni di attività siamo intervenuti su ben 16 cetacei, comprese sette femmine di capodoglio spiaggiate a Vasto finite lì per via di indagini sismiche condotte dall’uomo che avevano fatto impazzire il “radar naturale” della capobranco, salvandone più della metà. L’ultimo delfino, un tursìope, ha richiesto più di 8 ore per salvarlo, ma la riconoscenza che ci ha dimostrato è valsa tutti gli sforzi. Quando un animale marino finisce fuori dall’acqua tutto il suo peso improvvisamente grava sugli organi, quindi subiscono sforzi e sofferenze incredibili. Questo vale anche per le tartarughe, fuori dall’acqua il carapace schiaccia i polmoni che a loro volta premono su gli altri organi, non periscono perché fuori dall’acqua, ma per mancanza di capacità di incamerare aria o per gli sforzi».

«Quello che stiamo provocando agli ambienti marini sta alterando i normali cicli – ha aggiunto Novarini – così con l’aumento delle temperature le tartarughe, soprattutto le giovani femmine più inesperte, stanno nidificando sempre più a nord, fino a una cucciolata nata a Jesolo nel 2019, la più settentrionale mai verificatesi in tutto l’Adriatico». Come ha concluso Pari: «Si tratta talmente di una novità che non si potrebbe nemmeno intervenire perché mancano le autorizzazioni ministeriali, mai chieste per aree così in alto, anche i cicli di riproduzione ormai sono in anticipo di più di un mese dalla norma. Il rischio con la temperatura in aumento è che si sviluppino solo esemplari di un sesso [N.d.r. è influenzato dalla temperatura] e le nostre spiagge sono estremamente antropizzate. Con i progetti di tutela il numero di Caretta Caretta è aumentato negli anni, ma la lotta per preservarle è appena all’inizio, per questo c’è bisogno anche dell’aiuto dei cittadini. L’ultima covata che abbiamo gestito a Pesaro, nel pieno di uno stabilimento balneare, dopo una chiamata pubblica, ha visto coinvolti quasi 250 volontari su turni. Se le persone conoscono quello che facciamo, si mobilitano, per questo la scienza ha bisogno di essere comunicata!».

 

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