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Gli invisibili della rotta balcanica: una storia di dolore

Nella sede veneziana di Emergency una mostra, a cui sono seguiti degli incontri, parla delle tragiche condizioni del Silos di Trieste in cui i migranti fino a pochi giorni fa trovavano precario riparo al loro arrivo in città

Gli invisibili: così sono chiamate le migliaia di persone che ogni anno percorrendo la rotta balcanicaarrivano a piedi fino a Trieste. È del loro viaggio nel viaggio che si è parlato nella sede di Emergency di Venezia alla Giudecca giovedì 20, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, nell’incontro “The Game Goes On”, insieme alla Presidente Emergency Rossella Miccio e al Presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà Gianfranco Schiavone.Conferenza a cui poi mercoledì 27 è seguito un ulteriore approfondimento dal titolo “La Piazza del Mondo. È l’incontro che cura” con Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi di Linea d’Ombra, Giuseppe Caccia di Mediterranea e Simonetta Gola di Emergency.
Negli appuntamenti si è parlato maggiormente della situazione del Silos di Trieste, dove fino a pochi giorni fa i migranti trovavano precario rifugio. A fare il punto è Mara Rumiz, responsabile delle sede veneziana di Emergency: «Si tratta di un grande e degradato edificio su due piani, pericolante, in pieno centro a Trieste di fronte alla stazione, di proprietà della COOP Alleanza 3.0, che già l’anno scorso ne aveva chiesto lo sgombero, avvenuto solo venerdì 21» spiega, dicendo tra l’altro che nelle stesso luogo durante l’olocausto venivano stipati gli ebrei prima di per essere portati nei campi di concentramento. Proprio le condizioni che vigevano all’interno del Silos sono state documentate dalla fotogiornalista Barbara Zanon in una mostra allestita nella sede di Emergency dal titolo “INVISIBILI – Reportage dal Silos di Trieste” (visitabile fino al 13 luglio con orario 11 – 18), a cui sono accompagnati in loop anche i tre reportage realizzati da Pif per il programma “Caro Marziano” trasmesso su Rai 3, messi a disposizione dalla Direzione Teche RA, con cui si sottolineano le sofferenze di chi cerca di fuggire da violenza e morte a causa di guerre, catastrofi naturali e povertà, valorizzando anche il lavoro dei tanti volontari. Un’attenzione alla condizione dei migranti che è sottolineata inoltre anche nella mostra allestita alla Ca’ d’Oro “Naufragi – Approdi” (leggi qui).

Invisibili in fuga dalla morte

Trieste è infatti la porta d’Italia per i migranti che arrivano attraverso l’impervio percorso della rotta balcanica. «Partono per sfuggire alla morte da Bangladesh, Afghanistan, Pakistan, Iran, Nepal, Iraq, Siria e attraversano i confini di diversi Paesi quali: Turchia, Grecia, Bulgaria, Macedonia, Kosovo, Serbia, Bosnia, Croazia e Slovenia. Spesso alla frontiera però vengono respinti, anche più volte, e si trovano a dover ricominciare da capo il loro percorso impiegandoci mesi, se non anche anni. – e continua Rumiz – Il tentativo di superare i confini ed entrare nel cuore dell’Europa, evitando la brutalità dei respingimenti, viene chiamato in gergo “The game”». Si parla poco di chi arriva attraverso questa rotta, come se contassero meno di coloro che scappano dall’Ucraina o arrivano attraverso il Mediterraneo. Con una media di 30 arrivi a Trieste al giorno, le persone giungono a piedi, con la sola forza delle loro gambe, varcando il territorio italiano in silenzio in modo invisibile per istituzioni e cittadini. Ma sono chiamati così anche perché quando muoiono durante il cammino fanno meno clamore: «La rotta del Mediterraneo si conferma infatti essere la più letale per il bilancio totale dei morti e dei dispersi» dice Rumiz, spiegando che Emergency da un anno e mezzo è impegnata con la ventesima missione per salvare i naufraghi che scappano in particolare dall’Africa sub sahariana e dal Sudan, dove è in corso una guerra civile.

La vita nel Silos dove la parola riparo è un eufemismo

Arrivati ai Trieste i migranti trovano riparo, eufemisticamente parlando, nel Silos dal tetto sfondato e dalle pareti precarie: «Come documenta con le sue fotografie Barbara Zanon, nel Silos non c’è nulla. È privo di acqua, elettricità e bagni, queste persone vivono alle intemperie con freddo, bora, pioggia, dormono nel fango e vengono morse dai topi. – racconta Rumiz – Fa impressione che esista luogo simile in pieno centro. Una situazione che non trovo nemmeno quando andiamo in Africa con Emergency». Il Silos in certi momenti è arrivato ad ospitare anche a 400 persone. In particolare, chi non intendeva fare richiesta di asilo stava lì anche per mesi, in attesa di andare in Nord Europa. Ora coloro che si appoggiavano nel Silos, con cartoni e tende di recupero, sono stati sgomberati: «I richiedenti asilo, circa 150, sono stati portati in Lombardia, mentre gli altri sono rimasti a dormire sulle panchine de “La Piazza del Mondo”, come è stata ribattezzata Piazza della Libertà. – e continua Rumiz – Sono stati anche bastonati da un gruppo di ragazzi. È un dramma che al momento non ha soluzione, non c’è nessuna struttura alternativa che li possa accogliere» dice, spiegando che il Consorzio di Solidarietà mette a disposizione 180 appartamenti diffusi nel territorio, che però non sono sufficienti ad accogliere tutti. Il Comune di Trieste ha indicato come possibile soluzione un centro scout a Prosecco sul Carso, ma prima necessita di lavori di ristrutturazione. In Piazza per fortuna intanto i migranti  trovano il supporto di Linea d’Ombra, che da tempo ha saputo coinvolgere tanti volontari, che arrivano anche da altre città e regioni, per offrire cure, cibo, vesti ma soprattutto conforto. Tra questi c’è anche un gruppo di cittadini che a turno parte da Venezia: «Anche Emergency da luglio arriverà a dare una mano, saremo lì con un mediatore per fare sanità».

La salute dei migranti

A fronte di tutti questi arrivi non c’è però un’emergenza sanitaria: chi arriva non è malato. Coloro che intraprendono la rotta balcanica di solito sono maschi giovani e sani, anziani e donne difficilmente ce la fanno» racconta ancora la referente di Emergency. Di solito le persone hanno solo necessità che gli vengano medicati i piedi, tumefatti dal lungo cammino e dal fatto che non tolgono quasi mai le scarpe perché la polizia croata e bulgara, le più cruente, spesso gliele tolgono. Altro problema è la scabbia: «Ma questa deriva dalle condizioni in cui dormivano all’interno del Silos» specifica Rumiz, dicendo che il Centro Diurno del Consorzio di Solidarietà offre la possibilità di fare anche a turno la doccia, una piccola goccia in un mare di dolore. Infine si sofferma sul commovente arrivo dei migranti in Italia: «Quando queste persone varcano dall’alto dei monti il confine, prima di arrivare a Trieste, sui rovi dei cespugli lasciano magliette lacere e pantaloni distrutti. Se hanno infatti ancora una maglietta pulita se la mettono per entrare in centro in modo dignitoso, in quella che pensano essere per loro la città della speranza».

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