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La storia di Mario: da ragazzo in comunità ad educatore

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All’incontro a Zelarino la testimonianza di Mario e la sua rinascita nella comunità di don Claudio Burgio

Durante l’incontro del 21 settembre a Zelarino, Mario, un giovane della comunità di don Claudio Burgio, ha condiviso la sua storia. 

Grazie al percorso che ha intrapreso all’interno della comunità, ha da pochi giorni firmato un contratto come educatore all’interno della stessa comunità che lo ha accolto. «Adesso il mio obiettivo è mantenerlo», afferma con determinazione. Vuole costruirsi un’indipendenza, trovare una sistemazione fuori dalla comunità, ma soprattutto vuole restituire ai ragazzi ciò che lui ha ricevuto. 

«Oggi voglio trasmettere ai ragazzi che incontrerò nelle comunità un messaggio importante: si può vivere senza fare reati, senza paranoie, senza il bisogno di guardarsi continuamente le spalle per paura di una pattuglia della polizia», spiega il ragazzo. «La chiave è saper riconoscere le persone che ci vogliono davvero bene, avere il coraggio di fidarsi e prendere esempio da loro».

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L’insofferenza dell’adolescenza: la fuga di Mario dalla sicurezza

«Ho 23 anni, ma sono arrivato in Italia all’età di 9 anni, adottato da una famiglia italiana», racconta Mario. «La mia era una vita normalissima in una famiglia normale, con una casa stabile e nessun problema economico». Mario frequenta le scuole senza difficoltà, portando a termine gli studi superiori e iscrivendosi all’università. 

Tuttavia, con l’ingresso nell’adolescenza, comincia a sentire un crescente senso di oppressione. La protezione eccessiva dei genitori diventa per lui una gabbia. 

Durante la quarta superiore, inizia a maturare un’insofferenza verso quel mondo fatto di regole troppo strette, e al primo anno di università la situazione esplode. «In un momento di fragilità e debolezza, ho deciso di fuggire», racconta. E così Mario si ribella, con le prime fughe da casa che diventano il segnale tangibile della sua frattura interiore.

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Ritrovare la speranza: la nuova vita di Mario nella comunità

Le tensioni con la famiglia si intensificano e, dopo numerosi litigi, Mario decide di andare a vivere da un amico. «Una sera abbiamo esagerato e da lì sono iniziati i primi reati», dice. «Da lì non potevo più restare dal mio amico ma nemmeno tornare a casa e così, ho iniziato a vivere per strada, dormendo su panchine di Milano».

A quel punto, Mario capisce che deve cambiare rotta e decide di ricontattare suo padre. «Decidiamo di chiedere a don Claudio se potessi essere accolto nella sua comunità e per fortuna lui accetta». 

Ora, dopo un anno e sette mesi in comunità, Mario guarda al passato con una consapevolezza diversa. «All’inizio non è stato facile», ammette. «Mi sono ritrovato immerso in un ambiente completamente nuovo. La vita in comunità è diversa; non conoscevo gli altri ragazzi, non capiva il loro linguaggio, né i loro codici. Poco a poco, ho imparato ad adattarmi e a vedere in quel luogo una nuova casa».

Il cambiamento di prospettiva: Mario e il ruolo degli adulti

La vera svolta nella sua vita arriva dopo l’ultimo arresto. Durante i sei mesi di arresti domiciliari, Mario ha modo di riflettere e capire molte cose. 

«In quel momento, ho iniziato a riconsiderare il suo ruolo nella società e, soprattutto, all’interno della comunità», spiega. «Ho iniziato a vedere l’adulto non più come un ostacolo, ma come qualcuno da prendere come riferimento. Quegli stessi adulti che un tempo consideravo nemici, ora li vedo come persone da cui poter imparare». 

Tra pochi giorni, Mario incontrerà di nuovo i suoi genitori, dopo mesi di lontananza. Non sarà facile, ma sente che è giunto il momento di ricostruire quel legame, di provare a riconciliarsi con chi, nonostante tutto, non ha mai smesso di volerlo aiutare.

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