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“Matisse e la luce del Mediterraneo”: nuova mostra al Candiani

Sono oltre 50 le opere “infuocate”, provenienti dalle collezioni di Ca’ Pesaro e da importanti prestiti internazionali, che mostrano quanto il Mar Mediterraneo abbia saputo ispirare Matisse e non solo

La luce e le luminose atmosfere del Mar Mediterraneo in passato ispirarono tanti artisti, compreso Henri Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 1869 – Nizza, 1954). “Matisse e la luce del Mediterraneo” è la nuova mostra, a cura di Elisabetta Barisoni, allestita al Centro Culturale Candiani a Mestre, che resterà visitabile gratuitamente previa registrazione fino al 4 marzo 2025. Il nuovo progetto espositivo nasce dalle collezioni civiche di arte moderna conservate alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, di cui Barisoni è direttrice, ed è arricchito da prestigiosi prestiti internazionali. Il maestro e capostipite del movimento dei Fauves, ovvero le belve, le cui opere sono espressione della gioia di vivere, delle emozioni profonde, tradotte in colori forti, vivaci e innaturali, è avvicendato in mostra in dialogo con artisti con i quali condivise vicende biografiche e rivoluzioni artistiche, quali: Henri Manguin, André Derain, Albert Marquet, Maurice de Vlaminck, Raoul Dufy,  Pierre Bonnard ma anche l’italiano Filippo de Pisis. La luce è il centro della ricerca di Matisse, come di quegli artisti che miravano a catturare l’abbagliante bellezza del Mar Mediterraneo, in particolare del Midi, il Mezzogiorno francese, luogo fisico e della creazione artistica, vero protagonista del colore liberato dall’Espressionismo selvaggio.

Luce, colore…

Fulcro della rassegna sono quindi la luce e il colore, insieme all’importanza del disegno che per Matisse è quasi un’ossessione. In mostra oltre cinquanta sono le opere esposte in sette sezioni, partendo dalle preziose raccolte di grafica della Galleria Internazionale d’Arte Moderna che annoverano tre importanti litografie dell’artista francese datate agli anni Venti e due disegni appartenenti alla sua produzione del 1947. A queste si affiancano capolavori del maestro provenienti dal Philadelphia Museum of Art, dalla Národní Galerie di Praga, dal Musée des Beaux-Arts di Bordeaux, dal Musée des Beaux-Arts di Nancy, dal Centre Pompidou di Parigi, dal Musée Albert-André di Bagnols-sur-Cèze e dal Museo del Novecento di Milano. «La dimensione della natura rinnovata dagli impressionisti e l’uso del colore inaugurato dai postimpressionisti serve a Matisse per portare la propria arte verso una maggiore potenza espressiva che sia in contatto con l’emotività, con la sensibilità, con il mondo del sentire più che del capire» spiega la curatrice Barisoni. L’Arcadia primitiva che Matisse ricerca al Sud si infiamma già nelle prove del 1898, quando egli compie un  viaggio in Corsica che lo segnerà profondamente. Nella stagione di sperimentazioni che nasce a Collioure, nel 1905 Matisse e Derain trovano il modo di superare l’arte di mimesi impressionista e simbolista grazie alla luce del Mediterraneo, dando avvio alle celebri tele “incendiarie” Fauve: «L’afflato selvaggio e infuocato delle atmosfere del Sud si esprime nel colore usato direttamente sulla tela, un colore acceso, squillante, a contrasto, che diventa vero protagonista delle opere. Le pennellate sono violente, i pigmenti vengono applicati dal tubo di colore, le cromie sono divise ma non complementari». Il colore diventa allora protagonista di un’esplosione gioiosa ed espressiva: «Le cromie erano intese fino ad allora come mezzi paralleli e complementari al disegno; in Matisse e nei suoi sodali smette di essere strumento ma diventa significante di per sé stesso».

…ornamento e disegno

In mostra è presente anche una riflessione sul decorativo e l’ornamento, il fascino delle linee moresche e le languide figure femminili in veste di odalische. Per Matisse fondamentali furono i viaggi nel Nord Africa, dove l’Algeria e il Marocco in particolare contribuirono alla liberazione del colore e all’emergere della linea arabescata. Fonde il gusto esotico e arabo, patrimonio condiviso del bizantinismo italiano, al primitivismo e all’art nègre. Inoltre studia l’arte islamica e la decorazione. La linea curva e arabescata, l’ornamentale e la sinuosità della figura umana si mescolano con l’attrazione decorativa già appresa con l’arte italiana. Nasce così la grande stagione delle odalische matissiane degli anni venti, tra cui in mostra spicca l’“Odalisca gialla” del 1937. Questa, proveniente dal Philadelphia Museum of Art, è raffigurata tra fiori e carte da parati coloratissime. A popolare la sua produzione sono poi le donne e le figure riprese in un interno con le finestre aperte, una sorta di quadro nel quadro che ha ancora un sapore classico. L’ornamento in Matisse diventa vero protagonista del quadro: «L’insistenza verso gli sfondi, le carte da parati, le stoffe dei paraventi, dei letti e dei divani sui quali sono mollemente adagiate le donne, o le odalische, lascia emergere quanto Matisse abbia fatto proprio non solo i maestri francesi e italiani ma anche il mondo delle miniature persiane, dei tessuti orientali, dei mosaici e delle decorazioni visti a Ravenna e a Venezia» continua a spiegare Barisoni. Sulla medesima linea interpretativa si colloca l’attenzione riservata da Matisse al disegno: «È contraddistinto dalla linea curva, arabescata, come nelle magnifiche prove conservate nelle collezioni di Ca’ Pesaro. Per Matisse il disegno è il mezzo più diretto per esprimere la propria interiorità ed emerge con potenza anche nell’ultimo esito verso il quale il maestro spinge la propria arte: dal primato del colore al primato della forma». Esempio in mostra sono “Felce, frutta e figura femminile” e “Il vaso opalino”, provenienti da Ca’ Pesaro, che mostrano la maestria di Matisse nel catturare l’essenza dei soggetti con semplicità ed eleganza.

I papiers découpés e l’eredità di Matisse

L’esposizione si chiude con l’ultima rivoluzionaria fase creativa di Matisse: la produzione dei papiers découpés, fogli di carta colorata ritagliati e incollati nei quali il maestro francese porta al massimo la sintesi dell’espressione. “Icaro”, un guazzo su carta ritagliata e stampata a pochoir di Matisse del 1947 proveniente dal Musée des Beaux-Arts di Bordeaux, richiama la sintetica essenzialità della condizione umana. La sagoma nera di Icaro è protesa ad abbracciare il cielo blu e a toccare le stelle con la punta delle dita, espressione del desiderio di superate i limiti del reale. Nella sala si passa poi dagli epigoni di area veneziana, come Renato Borsato o Saverio Barbaro, alle figurine di Chris Ofili, fino alle composizioni di Marinella Senatore. La dignità del decorativo, dell’ornamento, del disegno e della stilizzazione della figura emergono così nell’ultima sezione della mostra come il lascito forse più importante che Matisse fa all’età contemporanea.

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