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Calo demografico: una sfida al futuro anche per Venezia

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Contrastare la diminuzione della popolazione secondo il prof. Stefano Campostrini

«Se si rende invivibile una città come si può pensare che i giovani decidano di stabilirvisi e fare figli?» – si interroga il professor Stefano Campostrini, docente di statistica sociale all’Università Ca’ Foscari di Venezia – «Quello che viene definito come inverno demografico è un fenomeno iniziato molto tempo fa, evidenziato da molti studiosi, ma che oggi mostra concretamente che un Paese formato in maggioranza da anziani ha difficoltà in termini di sostenibilità economica e sociale. La ricetta per superarlo? Un patto sociale fra pubblico e privato, investendo nel futuro delle nuove generazioni».

«Rivedendo come siamo arrivati a questo punto, ci sono due fenomeni contrapposti che si sommano – aggiunge – da un lato l’aumento della longevità, nonostante il Covid-19 avesse abbassato le aspettative di vita di due anni, che oggi è maggiore di 5-6 rispetto alla generazione precedente, dall’altro il calo delle nascite con un tasso di fecondità di molto inferiore a quel 2,1 figli per donna che garantirebbe un equilibrio del saldo fra decessi e nascite. Infatti dopo un recupero fino al 2008 grazie all’immigrazione, a seguito della crisi è tornato a scendere, soprattutto nel Sud Italia, superando il concetto che dove le donne lavorano si fanno meno figli».

Veneto e Venezia: un calo demografico peculiare

«Si tratta di un fenomeno che interessa tutto l’Occidente – spiega il docente – ma con ricadute particolarmente significative in Italia, dove siamo fra i primi Paesi al mondo sia per longevità che denatalità. Se guardiamo al Veneto in termini di natalità siamo messi un po’ meglio della media nazionale, ma ci sono consistenti differenze fra diverse aree della regione, dove l’indice di vecchiaia indica un giovane ogni 2 anziani, mentre all’epoca dei figli dei baby boomers c’erano 10 giovani ogni 4 anziani. Se poi guardiamo a Venezia la situazione è critica, con 30 anziani ogni 10 bambini, tanto in centro storico che a Mestre, si salvano solo le aree con maggior concentrazione di immigrati».

«A Venezia l’assenza totale di misure contro l’overtourism e i meccanismi di messa a reddito di immobili con affitti brevi ha fatto allontanare le possibilità di residenzialità da parte dei giovani – chiarisce Campostrini – basta girare per le calli e guardare i citofoni per accorgersene. Una città senza ragazzi è tristissima, al momento la presenza studentesca mitiga il fenomeno perché le università cittadine sono ancora attrattive, ma tutte le municipalità si svuoteranno progressivamente, creando problemi sia di sostenibilità per i servizi che di disgregazione delle comunità locali, ci saranno problemi nell’erogazione dei servizi quando i baby boomers supereranno i 75 anni (saranno il doppio degli anziani dei primi anni 2000). Poi c’è il tema dei quartieri a forte componente migratoria, andrebbero valorizzati e resi multiculturali e non solo multietnici, secondo lo spirito dell’antica Serenissima, altrimenti rischiano di diventare aree a forte tensione».

Un pacchetto di interventi per invertire la tendenza del calo di popolazione

«Prima di tutto va fatta una riflessione di tipo culturale – spiega il professore – si fanno figli quando ci si trova in una società in cui ci si sente accolti e sicuri e si crede nel futuro, è un tema complesso vista l’instabilità in cui ci troviamo oggi, questo spiega la spinta verso l’estero di moltissimi giovani italiani. Purtroppo da un lato non sono stati messi in campo interventi di reale sostegno alle famiglie con investimenti a livello di Paesi come la Francia per aumentare il tasso di fecondità e dall’altro i nostri ragazzi vengono ancora valorizzati troppo poco per le proprie competenze da parte delle imprese, ma gli imprenditori stanno iniziando a sperimentare la difficoltà nel reperire manodopera specializzata».

«La ricetta è investire quindi nel futuro – risponde Campostrini – ci sono tre aree in cui non si può prescindere per arginare questa crisi demografica. La prima è il welfare verso le famiglie, tanto a livello pubblico che privato perché non si può sperare sempre e solo nello Stato, servono anche le imprese. Proprio le aziende devono poi investire sui giovani valorizzando le loro competenze a livello di crescita e salariale. Infine le città e i territori devono tornare ad essere accoglienti, è surreale pensare a una città come Venezia, che ha urgente bisogno di giovani, senza corsie preferenziali per l’accesso alle case del patrimonio edilizio pubblico. Tutto questo si può realizzare solo attraverso un patto intergenerazionale, quello che stiamo vivendo è solo la punta di un iceberg, di questo passo fra 10-20 anni la situazione sarà insostenibile, i giovani vanno trattati come una risorsa da subito».

Il professor Stefano Campostrini
Il nodo della cultura per spingere le nascite... Anche a Venezia

«In questa sfida anche la cultura ha un ruolo chiave – spiega il docente – l’individualismo proposto negli ultimi decenni ha giocato un ruolo importante sul non voler dare vita a una famiglia e l’immagine che continua a diffondersi sui social network della persona di successo che fa soldi come unico obiettivo nella vita appare un modello per tanti giovani. Anche il nostro sistema formativo ha però delle colpe, è stato impoverito di investimenti e così la scuola non è stata in grado di adattarsi ai tempi e alla società che cambia. Se si mandano a casa i ragazzini alle 13, con entrambi i genitori che lavorano non bisogna sorprendersi se poi aumentano il consumo di junk food e l’uso indiscriminato di Internet, non potrebbe essere altrimenti senza un educatore in casa».

«L’università sta resistendo – conclude – per quei pochi giovani che vi si iscrivono e che in proiezione saranno sempre di meno, paradossalmente più studenti darebbero origine a maggiori investimenti. Il sistema scolastico dovrebbe così favorire maggiori attività per i giovani, compreso anche lo sport. Se i territori sapranno rendersi attrattivi, potrebbero far rientrare anche tutti i nostri talenti che se sono andati all’estero. Per risolvere la situazione serve un patto che coinvolga tanto il pubblico che il privato, ma chi dovrebbe trainare e dare una visione al Paese? Non può che essere la politica se se ne legge la funzione nella nostra Costituzione, ma fino adesso le proposte e soprattutto la visione sono mancate. Eppure ci sono diversi giovani impegnati in questa attività, peccato che non trovino lo spazio che meritano, per questo spero che, visti i risultati delle precedenti classi politiche, ci possa essere una nuova generazione di amministratori a portarci fuori da questo futuro che appare triste e segnato, ridandoci speranza».

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