L’Antropocene è quella bellezza sublime che spaventa e conquista. Questo è quanto esprimono le fotografie del grande artista canadese Edward Burtynsky nell’esposizione “Burtynsky: Extraction / Abstraction” allestita all’M9 – Museo del ‘900 di Mestre, visitabile fino al 12 gennaio. «Si tratta della prima esposizione in Italia e la più ampia mai realizzata sugli oltre 40 anni di carriera del fotografo nel documentare l’impatto dell’uomo sul pianeta» ha spiegato la direttrice di M9, Serena Bertolucci. La mostra, curata da Marc Mayer, già direttore della National Gallery of Canada e del Musée d’Art Contemporain di Montreal, con progetto allestitivo di Alvisi Kirimoto, esplora l’impatto dell’azione umana sugli ecosistemi terrestri che vedono modificare il paesaggio, con riferimento anche al cambiamento climatico. Con oltre 80 fotografie di grande formato e 10 enormi murales, attraverso sei sezioni tematiche che illustrano i temi centrali indagati da Burtynsky, la mostra indaga le conseguenze ambientali del sistema industriale: un tema che rappresenta il codice distintivo del fotografo. Suddiviso in diverse serie – Cave, Petrolio, Studi africani e Acqua – lo studio dell’Antropocene ha ispirato alcune delle sue immagini più belle e inquietanti.«L’idea è quella di cominciare coinvolgendo lo spettatore nell’astrazione con cui mi piace lavorare, e di rivelare solo in un secondo momento l’oggetto delle fotografie. – ha spiegato Burtynsky – Da quarant’anni vado a caccia dei luoghi del mondo da cui provengono e dove vanno a finire tutti gli oggetti simbolo della nostra vita quotidiana. Continuerò a portare avanti la mia ricerca e a mostrare quei luoghi trascurati in un modo capace di catturare l’immaginazione, accendere la curiosità e stimolare il dibattito». Oltre alla mostra al terzo piano del museo, nella sala M9 Orizzonti al primo piano è inoltre proiettato, in modalità immersiva per la prima volta in Italia, il pluripremiato cortometraggio coprodotto nel 2022 da Burtynsky e Bob Ezrin “In the Wake of Progress”.
La prima sezione della mostra è dedicata all’Astrazione che esplora le tecniche dell’artista e la somiglianza delle sue fotografie con l’arte astratta, in particolare ai lavori di Jackson Pollok. Le grandi fotografie di Burtynsky si presentano ad un primo sguardo come affascinanti e indecifrabili campiture di colori e di forme, che lasciano gli osservatori sospesi di fronte a oggetti naturali o antropici spesso non immediatamente riconoscibili, che invitano a guardare oltre quei luoghi fotografati per capire l’impatto dell’uomo sul futuro degli habitat terrestri. Colpisce in particolare la foto che sembra un gioiello e invece non è altro che l’enorme miniera di rame Morenci in Arizona. Nelle sue opere sono quindi protagonisti il settore dell’estrazione mineraria, dell’industria del petrolio e del gas. In un secolo di esplosione demografica, le aree del pianeta inalterate dalle attività umane sono scomparse, come si vede chiaramente dal proliferare delle microplastiche e dagli effetti sistemici del riscaldamento globale causato dagli esseri umani. Burtynsky ha raccontato tuto questo anche in “ANTHROPOCENE: The Human Epoch”, il film realizzato nel 2018 in collaborazione con Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, che dedica particolare attenzione proprio al tema dell’estrazione.
Le visioni di Burtynsky sono attrattive e ipnoticamente immersive. Una parte importante del lavoro dell’artista riguarda poi l’industria manifatturiera, dallo sfruttamento della manodopera in Cina e nelle sue società controllate all’estero, fino agli stabilimenti automobilistici tedeschi in Sudafrica, dove il lavoro è svolto quasi interamente da robot. Proprio Burtynsky è cresciuto in mezzo alle fabbriche che hanno suscitato in lui da sempre grande fascino. Sviluppò il senso della meraviglia e dell’immaginario creativo quando aveva sette anni, di fronte alla catena di montaggio dello stabilimento di assemblaggio di automobili General Motors di St. Catharines, in Ontario, dove il padre, immigrato ucraino,lavorava alla produzione di blocchi motore, luogo dove poi lui stesso lavorò per pagarsi gli studi universitari. Molte fotografie di Burtynsky si concentrano anche su infrastrutture quali ponti, dighe, strade, fognature, reti elettriche e di telecomunicazione. Un tema che ha affrontato in serie diverse come Railcuts del 1985 e African Studies del 2022. Qui la natura è sempre più artificiale e le foto mostrano come l’uomo pur di adattare il pianeta alle sue esigenze lo ha completamente rimodellato, come nella foto in cui mostra la frazione urbana di circa duemila abitanti Breezewood in Pennsylvania, nota per la concentrazione di ristoranti fast-food, aree di sosta per camion, stazioni di servizio e motel che ne fanno un’oasi per viaggiatori o una trappola per turisti. Per includere nell’inquadratura il maggior numero possibile di insegne commerciali che erano presenti, Burtynsky ha utilizzato un carrello elevatore trainato da un autocarro parcheggiato in collina.
Le fotografie di Burtynsky mostrano la superficie terrestre convertita per il 38% a terreno agricolo, contribuendo al disboscamento di ampissime aree, all’esaurimento delle falde acquifere per irrigare campi in terreni aridi, all’infiltrazione di pesticidi e fertilizzanti tossici nell’ambiente e a continue emissioni di gas serra. In mostra compaiono le vaste distese geometriche dell’irrigazione circolare, le trame surreali dell’aridocoltura e le immense monocolture di un solo colore. L’ultima parte della mostra è invece dedicata ai rifiuti e alla loro gestione, con particolare riferimento alla plastica. Dall’interesse di Burtynsky per i rifiuti sono nate infatti alcune delle sue opere più conosciute, tra cui un esempio memorabile è la serie Shipbreaking, che risale ai primi anni 2000 e rappresenta un vero punto di svolta nella sua carriera. Da allora Burtynsky ha fotografato colossali cimiteri di pneumatici in California, enormi impianti di riciclo di componenti elettroniche in Cina, una gigantesca discarica di plastica in Kenya. Il destino dei rifiuti ha ispirato immagini potentissime come “Sterili di Uranio #12” che mostra come a Elliot Lake in Ontario 10 miniere dismesse e oltre 200 milioni di tonnellate di residui tossici di uranio rendano il fiume totalmente di color arancio, in un’atmosfera completamente surreale.
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