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Serena Bertolucci: «Con M9 vi spiego la mia idea di museo»

La direttrice del Museo M9 di Mestre, durante la conviviale del Rotary Club, ha spiegato le strategie per fare in modo che un museo sia attrattivo e diventi casa

«Un museo è un luogo in cui fare esperienza dell’immaginario e strumento di rigenerazione». Esordisce così Serena Bertolucci, da dieci mesi direttrice dell’M9, il Museo del ‘900 di Mestre, durante la conviviale del Rotary Club di Venezia e Mestre tenutasi giovedì 10 all’Hotel Bologna dal titolo “Siamo roba da museo? Riflessioni, provocazioni e proposte intorno ai musei”. «Siamo felici di ascoltare le idee della direttrice di un museo giovane che, aperto nel 2018 e poi chiuso subito per via del Covid, si deve affermare e radicare nel territorio» ha detto il presidente del Rotary Club, Matteo Zipponi. Durante la serata Bertolucci ha spiegato la sua idea di museo, raccontando del suo impegno affinché, durante il suo mandato triennale, M9 diventi sempre più punto di riferimento per la cittadinanza e non solo. Già negli ultimi mesi, grazie al grande richiamo internazionale avuto con la mostra dedicata a Banksy e ai tanti progetti rivolti ai cittadini di tutte le età, i numeri sono in crescita. In particolare il museo, che di solito vede tanti visitatori veneti, oggi è sempre più frequentato anche dai mestrini e vede un significativo aumento anche del pubblico veneziano. Necessario è allora lavorare intorno alla concezione di museo. Ma come? Innanzitutto eliminando all’entrata i cartelli di divieto proprio come ha fatto M9: «In alcuni musei c’è addirittura il divieto di entrare con i bambini. Ma i musei prima di tutto devono essere accessibili. – chiarisce subito ai presenti Bertolucci – La cultura si costruisce e un museo come M9 ha bisogno di tempi lunghi per essere compreso, bisogna avere pazienza. – e continua – Un secolo come il ‘900 tra un po’ non avrà più testimoni oculari e per i giovani sarà un secolo che verrà percepito allo stesso modo del ‘700. Il ‘900 tra l’altro è un secolo che ancora non viene studiato a scuola» dice, spiegando che per non rischiare di perdere un mare di memoria della nostra storia bisogna trovare validi metodi per comunicare nella giusta maniera.

Imparare a farsi capire

Prima di tutto i musei devono imparare a farsi capire: «Qualche anno fa Tullio De Mauro fece un indice che riusciva a stabilire il grado di cultura che deve avere chi legge i testi preparati dai musei. Ebbene, venne fuori che i testi dei musei, principalmente quelli archeologici, sono comprensibili solo da chi ha il dottorato. Le didascalie sono troppo specifiche e tecniche. Inoltre scriviamo quasi sempre in numeri romani, ma l’87 % popolazione mondiale non sa leggerli». Altro limite dei musei è poi quello di non riuscire collegarsi alla storia globale: «Pensiamo che tutti sappiano cos’è il Rinascimento, ma non è così. Dovremmo dire cosa accadeva nel mondo quando ad esempio costruivano la Cappella Sistina. Sarebbe importante raccontarlo oggi, in un mondo complesso in cui le culture si intrecciano». La priorità dei musei per Bertolucci è allora quella di rendersi comprensibili e ricorda la vicenda del ragazzo che un mese fa ha scritto il nome della sua ragazza sul Colosseo: «Non sapeva fosse così antico, probabilmente non siamo stati in grado di raccontarglielo» commenta. Ma come fa un luogo ad essere accessibile se non si capisce cosa dice? «Ci sono vari modi per raccontare un’opera – e fa l’esempio degli “Irisi” di Van Gogh – Oltre all’anno, le misure e la tecnica si può raccontare che quei fiori li vedeva dall’ospedale in cui era ricoverato e che questo era ciò che teneva attaccato alla vita un genio complicato come Van Gogh. Oppure, si potrebbe dire che il dipinto fu acquistato al prezzo più alto mai pagato per un’opera d’arte. Sparisce il dramma e subentra la curiosità».

M9 verso un museo di comunità

Tutto questo sempre pensando a chi ci si intende rivolgere: «I musei devono ascoltare i bisogni delle comunità a cui si riferiscono – e sottolinea Bertolucci – Vorrei che M9 fosse un museo di comunità» dice, spiegando che il Museo del ‘900 è un luogo dove si fa esperienza. «Da noi si lavora sempre insieme, facendo parte di un sistema aperto del sapere». A M9, infatti, l’uso della tecnologia non porta i ragazzi alla solitudine, come spesso avviene, ma ad una condivisone della cultura. «La gente dimentica tutto ma non come la fai sentire, un museo funziona se la comunità comincia a pensare che è casa. Questo è quello che voglio si pensi di M9». Proprio per questo il museo sta diventando sempre più culla di attività per tutti, grandi e piccoli, proponendo esperienze come “Una notte al museo”, la “First Lego League Italia” e il “Summer Camp”. Quest’anno poi M9 ha lavorato molto con la comunità cinese e al “Teens Fest” hanno partecipato molti ragazzi, a cui è stato insegnata la scrittura cinese e come fare le lanterne. Inoltre la M9 Card permette a chi l’acquista di accedere tutto l’anno alla collezione permanente e alle esposizioni temporanee come quella attuale, la più grande mostra mai realizzata in Italia dedicata a Burtynsky, il più importante fotografo canadese che tratta i temi dell’ambiente (leggi qui). Ma i possessori della M9 Card possono prendere parte anche alle varie attività del museo, ai convegni, alle visite speciali e alle guide che la direttrice fa in giro per la città partendo da un’opera. «Stiamo preparando grandi sorprese e un progetto tagliato appositamente su Mestre» anticipa Bertolucci. Ora l’idea è di collaborare con gli spazi intorno al museo: «Vorrei fare il km della cultura che da M9 arriva fino al Centro Candiani».

Lavorare sul desiderio e oltre il territorio

Importante sarà lavorare sul desiderio: «Bisogna studiare il pubblico di riferimento, incontrando le persone e capire di cosa hanno bisogno. – prosegue Bertolucci – Ora stiamo lavorando per ricostruire il desiderio. Spesso ci rivolgiamo a persone che vivono in un ambiente privo di stimoli culturali. Queste non percepiscono un bisogno culturale e la necessità di avvicinarsi ad un museo. Importante è allora l’iniziativa “M9 Altrove”: «Andiamo nelle scuole a raccontare cos’è M9 e a volte per le scuole ghetto, che non sono più in grado di affrontare le spese di una gita scolastica, paghiamo noi il biglietto dell’autobus e gli educatori perché vengano al museo nell’iniziativa che chiamiamo “Laboratori sospesi”, ispirati al caffè sospeso napoletano». M9 è un museo di nuova generazione come non ce ne sono in Italia: «Oggi gran parte della cultura avviene attraverso il digitale. Dobbiamo sperimentare ed essere un punto di riferimento» dice Bertolucci. Ma tutto questo per ora ovviamente ha un costo: «Se andiamo avanti così in sei anni però andremo in positivo – conclude, spiegando che il museo è anche un’industria culturale e oggi è diventato produttore di contenuti – Abbiamo realizzato una mostra digitale sullo sport in previsione delle Olimpiadi commissionata dal Ministero che sta girando il mondo».

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