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Giulio Manieri Elia: «Il mio amore per l’arte è cresciuto nel tempo»

«La mia famiglia, fin da piccolo, mi ha abituato a frequentare i musei» si racconta così il direttore delle Gallerie dell’Accademia di Venezia che, a 5 anni dalla nomina, ripercorre la sua attività in Museo, fin da quando è arrivato nel 2000 come funzionario, con uno sguardo rivolto alla realizzazione del progetto Grandi Gallerie

Passo lento ma costante. È con la sua indole pacata ma perseverante che Giulio Manieri Elia, classe 1960, giunto nel 2000 da Roma a Venezia, è passato dal ruolo di semplice funzionario ad assumere la direzione di uno dei più importanti musei statali d’Italia: le Gallerie dell’Accademia. A 5 anni dalla sua nomina a direttore, era il 2019, fa un bilancio sul suo percorso e su quello che è stato fatto in museo. Sotto la sua direzione molti sono i traguardi raggiunti, a partire dal grande progetto Grandi Gallerie, ancora in corso, dedicato al rinnovo e riallestimento degli spazi. Nel suo percorso Giulio Manieri Elia, prima di diventare dirigente nel dicembre 2018, come funzionario era già stato vicedirettore del museo dal 2009 al 2013 e direttore delegato dal 2013 al 2015, mentre dal 2012 al 2015 ha anche diretto il Museo di Palazzo Grimani. Nel tempo ha maturato una solida competenza nell’ambito del restauro dirigendo importanti interventi conservativi su opere di pittori quali Tiziano e Giorgione, portando le Gallerie in un percorso di crescita al passo con i tempi, sempre nel rispetto del passato e della loro storia.

Come nasce la sua passione per l’arte e quando riconobbe che sarebbe stata la sua strada?

Fin da piccolo la mia famiglia mi ha introdotto e abituato a frequentare il mondo dell’arte e i musei. A 10 anni mi colpì la mostra “Contemporanea” che si tenne nei sotterranei di Villa Borghese. L’amore per l’arte però non l’ho capito subito. Fin dall’inizio non ho mai avuto la strada chiara, non ero come quei bambini che ai primi passi sapevano quello che avrebbero fatto, è stata invece una cosa che è cresciuta nel tempo. La consapevolezza di voler lavorare nell’arte è arrivata durante un viaggio di tre mesi a Londra, dove continuavo a frequentare i musei, in particolare la National Gallery. Inoltre, grazie a mio padre, ebbi modo di parlare con uno storico dell’arte con cui mi confrontai. Mi chiarii le idee e, nonostante avessi terminato il liceo scientifico, anziché intraprendere studi in economia e commercio decisi di laurearmi in Lettere con indirizzo storico artistico.

In quel periodo successe qualcosa di rilevante per la sua carriera futura?

A vent’anni, durante l’università, dopo una visita guidata al restauro eseguito da Maratti sugli affreschi della Farnesina a Roma, mi innamorai del tema del restauro e per alcuni mesi lavorai nella bottega di una grossa ditta del campo. Fu un’esperienza di neanche sei mesi, ma mi portò a maturare una conoscenza e un’attitudine che poi anche da funzionario mi sono servite molto.

Come è stato l’arrivo a Venezia da romano?

L’arrivo a Venezia nel 2000 fu quasi casuale. Feci il concorso come funzionario della Sovrintendenza ai Beni Storico Artistici e su 500 partecipanti lo passammo in tre. Fin da subito ebbi competenze sul museo e sul territorio. All’inizio mi stupiva la quantità di tempo che qui a Venezia si aveva a disposizione, facevo molte più cose e restava spazio per se stessi. A Venezia c’è una qualità della vita e di rapporti personali altissima. All’inizio pensavo che ci sarei stato solo per un periodo, poi mi sono fermato per amore e ho creato la mia famiglia.

Come è arrivata la nomina a direttore della Gallerie?

Le Gallerie sono un posto speciale, rispetto ad altri musei nazionali sono state per lunghi periodi diretti da persone connesse tra loro. Con il tempo è come se il direttore sia stato formato dalle gallerie stesse: Cantalamessa forma Fogolari, che a sua volta forma Moschini. A lui succede Valcanover, seguito da Giovanna Nepi Scirè, di cui io sono stato collaboratore. In quasi 24 anni forse sono l’unico direttore dei grandi musei italiani che è maturato approfonditamente all’interno della struttura. Quando sono diventato direttore sapevo cosa dovevo fare perché venivo dall’interno. La soddisfazione è stata tanta, sono andato al di là delle aspettative. È abbastanza raro avere un’esperienza così continuativa su un luogo, di solito i dirigenti vengono spostati.

Con lei ha preso forma il progetto Grandi Gallerie. Come procede?

Da quando sono diventato direttore delegato abbiamo avuto in dotazione il piano terra e abbiamo iniziato ad aprirne le sale. Avere più spazio ci ha permesso di fare un progetto di riallestimento, ripensando il percorso e risolvendo nodi critici e passaggi che funzionavano meno bene dal punto di vista cronologico e narrativo. Abbiamo scelto di rinnovare ma sempre in continuità con il passato, non volevamo che le Gallerie perdessero il loro carattere e autorevolezza. Nella sala 11 al primo piano c’erano insieme opere del ‘500, ‘600 e ‘700, adesso invece è tutto ‘500 con opere di Tiziano e Tintoretto. Abbiamo poi inserito il Ciclo di San Marco in sala 6, così che meglio rientrasse nel percorso cronologico. Il piano superiore è dedicato agli anni che vanno dal ‘300 al ‘500 e il piano terra dal ‘600 all’800. Dare ampio spazio al ’600, il secolo meno considerato dell’arte a veneziana, è stata per noi una grande restituzione.

Cosa manca per completare il progetto?

Ora di quattro lotti al primo piano devono concludersi i lavori al terzo lotto, che comprende le sale dalla 18 alla 23, poi mancherà il quarto lotto con le sale dalla 1 alla 5 e potremmo riallestire. Nella seconda sala al piano di sopra daremo spazio al Medioevo, mettendo il tardo Gotico. Il percorso cronologico si interromperà in tre sale tematiche: lo spazio della Chiesa sarà dedicato all’evoluzione della pala in ambito ecclesiastico, dai polittici agli scomparti fino alla grande pala rinascimentale unificata, mentre i due cicli narrativi di Sant’Orsola di Carpaccio e della Vera Croce, resteranno nelle loro sedi così da conservare quanto rimasto degli allestimenti di Scarpa. Come ultimo passaggio verso le Grandi Gallerie vorremmo chiudere la corte gotica con una struttura che immaginiamo leggera e luminosa. Così si potrebbero separare l’ingresso e l’uscita, si articolerebbero meglio i flussi dei visitatori e ci sarebbe l’accesso diretto alle mostre temporanee sul contemporaneo su cui stiamo lavorando tanto. Uno spazio di cui abbiamo veramente necessità, l’ingresso con il bookshop infatti non basta per un museo che si proietta verso servizi più qualificati e moderni.

Recente è la ricostruzione del soffitto Vasari. Un sogno con le caratteristiche di un giallo  rincorso per decenni. Quanto è grande la soddisfazione?

Era il 1987 quando lo Stato italiano acquista per le Gallerie il primo nucleo con due putti con tabella, l’allegoria della Giustizia e l’allegoria della Pazienza dalla collezione Di Capua. Nel 2002 poi arrivò sul mercato il dipinto di un putto. All’epoca ero funzionario e, preparando le carte per comprarlo, mi accorsi che il comparto centrale del soffitto era dal 1819 nel patrimonio di Brera, lasciato però in deposito al Museo Civico della Società di Storia Patria di Gallarate, così lo chiedemmo in prestito e iniziò l’idea ritrovare le parti mancanti. Nel 2013 e 2017 comprammo a Londra, con trattativa privata, gli ultimi due comparti: l’allegoria della Fede e l’allegoria della Speranza. Già nel 2002 avevamo provato ad acquistare il frammento con la Fede da Lady Kennet, ma all’epoca ci scontrammo con un regolamento che prevedeva che l’opera che lo Stato acquistava dovesse essere già sul territorio nazionale. Solo dopo una decina di anni escogitammo di firmare il contratto all’ambasciata italiana. Ci aiutò molto anche il direttore della National Gallery che, convinto le opere dovessero tornare a Venezia, non si avvalse del diritto di prelazione. Fu una grande soddisfazione. Il grazie va a tutti i funzionari del museo, non avrei potuto nulla senza di loro. Lì ci rendemmo conto che la prospettiva di poter montare il soffitto si avvicinava. È stato incredibile, non credo ci siano molti musei al mondo che hanno rimontato un soffitto intero in quasi quarant’anni di lavoro continuativo (leggi qui).

Le Gallerie sono sempre più riferimento importante per il restauro, soprattutto dopo quello coraggioso de La vecchia di Giorgione presentato nel 2019

La vecchia era stata invecchiata con ritocchi fatti direttamente sul volto da Pellicioli ed era una delle opere che consideravo inguardabili e che speravo di restaurare. All’epoca era ancora direttrice del museo Paola Marini e io fui direttore del restauro. Ci documentammo e appurammo che l’opera, diversamente da quanto sosteneva Nonfarmale, era ancora sulla sua tela originalee si poteva restaurare. All’epoca cambiando l’eredità visiva del dipinto ci furono critiche di chi la confrontava con le fotografie dei libri, ma da approccio diretto poi coglievano che il restauro era stato super attento. Le Gallerie hanno una tradizione e realtà di restauro tra le migliori in Italia, stiamo cercando di lavorare moltissimo sul nostro laboratorio alla Misericordia. Da poco abbiamo restaurato anche il Polittico di Paolo Veneziano (leggi qui). Un lavoro pazzesco, non so quanti in Italia siano in grado di fare interventi simili.

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