Per compiere grandi imprese ci vuole passione, determinazione e spirito di sacrifico. Queste sono le caratteristiche che hanno portato l’alpinista veneziano Alvise Feiffer (classe 1980), socio della Giovane Montagna di Venezia, ad arrivare in cima al Chachacomani in Bolivia e ad altre importanti vette nella spedizione che si è tenuta dal 2 al 23 agosto scorso, organizzata proprio dall’Associazione Giovane Montagna. Alvise, grazie alle sue precedenti esperienze di spedizioni all’estero, insieme ad altri due soci appartenenti di altre sezioni, ha avuto il compito di organizzare la parte alpinistica, stabilendo le salite da fare e decidendo sul posto il programma con le guide locali. Si tratta della prima spedizione organizzata dall’Associazione in Bolivia, che ha coinvolto 32 persone, di cui 11 hanno preso parte all’impresa alpinistica, mentre gli altri hanno invece svolto un trekking. L’idea dell’Associazione alpinistica di stampo cattolico, di cui è presidente nazionale Stefano Vezzoso, era partita già due anni fa: «Diversi sono stati gli incontri e le uscite in montagna per arrivare tecnicamente preparati all’impresa e soprattutto per conoscerci e creare un gruppo coeso ed affiatato» racconta Feiffer.
Partiti il 2 agosto da Milano, gli escursionisti sono arrivati nella città di El Alto sopra i 4000m «Subito ci siamo appoggiati alla Missione di Peñas di Padre Antonio Zavaterelli, conosciuto come Padre Topio, creatore e cuore pulsante del progetto situato a 4000m sull’altipiano boliviano con lo scopo di far studiare ragazzi del posto che altrimenti avrebbero ben poco» racconta Alvise. La spedizione, dedicata alla memoria di Pietro Lanza con il proposito di salire in alto per aiutare chi sta in basso, si è proposta, oltre a svolgere impegnative salite alpinistiche e un trekking di livello, di avere anche una forte componente umana e sociale: «Il nostro gruppo ha fatto base proprio alla missione di Peñas. I primi giorni sono serviti ad acclimatarci, seguendo con le guide locali un itinerario turistico, anche perché per molti dei partecipanti si trattava della prima esperienza in alta quota. – racconta Alvise – Tra i vari posti, siamo stati nella caotica città di La Paz a 3600m e abbiamo visitato il deserto di sale».
Le due settimane successive, con meteo sempre bello, il gruppo di alpinisti si è dedicato a salire diverse vette della Cordillera Real tra cui lo Jankho Uyo a 5512m e il Cerro Pakukiuta di 5589m: «Per queste due cime dormivamo al campo base a 4800m dove c’erano delle cuoche». Tornati per un giorno di riposo alla missione di padre Topio, il gruppo è poi ripartito per scalare il Pequeño Alpamayo a 5440m, il cui campo base era a 4600m, e la vetta più alta del Chachacomani a 6074m. Per arrivare in cima al Chachacomani due sono stati i campi intermedi in cui gli alpinisti hanno sostato: uno a 4200 e uno a circa 5000m. Per quanto riguarda questa importante cima, Alvise ha portato a casa l’impresa stingendo i denti: «Domenica 18 dovevo partire ma la mattina mi sono svegliato con disturbi gastrointestinali. Sono costretto a salutare con un abbraccio i miei compagni diretti al primo campo base a 4200m» racconta, dicendo che nel corso dei giorni anche altri suoi compagni hanno avuto problemi di salute e hanno dovuto rinunciare. «Resto a letto tutto il giorno, mangio poco o niente con la speranza di raggiungerli il giorno dopo direttamente al campo alto. – continua Alvise, che non voleva perdere l’opportunità di arrivare in cima alla montagna anche a nome della Giovane Montagna di Venezia – Il giorno dopo sto meglio e decido di partire. In cinque ore raggiungo gli altri sette compagni a 5000m». Il giorno successivo, dopo aver fatto quello che i suoi compagni hanno fatto in due, Alvise riparte per arrivare in cima e conquistare il suo quarto 6000: «L’emozione è stata tanta. Mi sono domandato perché ho voluto farlo, se per sfida personale o amore per la montagna. So solo che al ritorno, dopo aver completato in 10 ore il giro insieme ai miei compagni di cordata, ero felice e l’esperienza vissuta è stata più grande del sacrificio fatto. Questo insegna che anche quando si pensa di non averne più si trovano energie nascoste che non pensiamo nemmeno noi di avere». È così che Alvise ha potuto portare con soddisfazione anche su questa cima il gagliardetto della Giovane Montagna di Venezia. «È una bella sensazione, senti che non fai la cima solo per te ma anche per gli amici rimasti a Venezia» spiega Alvise, dicendo che appena rientrati dall’impresa sono stati raggiunti dal gruppo che ha svolto il trekking e hanno partecipato alla messa celebrata da Padre Topio.
Il Chachacomani, nonostante fosse la vetta più alta scalata durante la spedizione in Bolivia, non è stata la più difficoltosa: «Dal punto di vista tecnico è stato più difille la Cerro Pakukiuta. Qui abbiamo trovato una parete lunga molto ripida e ghiacciata, bisognava usare bene piccozza, ramponi e chiodi da ghiaccio. Non semplice anche il Pequeño Alpamayo dove scali tra roccia, ghiaccio e neve. – racconta Alvise – L’ altopiano da dove partivamo era tutto secco, i ghiacciai lì iniziano dai 5200m in su, il ghiaccio è molto duro e ci sono conformazioni particolari come vele chiamate “Penitentes” che in Europa non sono presenti. Queste si formano per vento e sole ed è fastidioso camminarci sopra, in discesa in particolare se non si mette bene il piede a volte si spaccano». Poi racconta un’altra particolarità: «Su quelle montagne c’eravamo praticamente solo noi e le guide del posto che ci accompagnavano. Sono montagne poco turistiche e fuori moda», continua Alvise, che ha avuto passione per la montagna fin da piccolo, quando i suoi genitori lo potavano tra i monti e si fermava a vedere quelli che arrampicavano. Poi a 23 anni si è iscritto alla Giovane Montagna e non ha più smesso, diventando punto di riferimento per la sezione, tanto che quest’anno all’interno del programma organizzerà verso l’estate anche dei corsi di introduzione all’alpinismo (leggi qui).
Nonostante per Alvise le cime boliviane non siano state tra le più impegnative fatte in carriera – indimenticabile per lui, per avversità atmosferiche e difficoltà tecniche, la salita del Monte McKinley in Alaska -, l’esperienza in Bolivia è stata importante e significativa soprattutto dal punto di vista umano: «Mentre sulle altre cime che ho scalato eravamo in pochi, qui abbiamo potuto vivere l’esperienza con un gruppo più nutrito e condividere la missione di Padre Topio, che dà un’alternativa ai ragazzi che altrimenti si troverebbero a spacciare droga o fare contrabbando. – sottolinea Alvise – Padre Topio fa studiare ai ragazzi alpinismo, bici, arrampicata, fa conoscere il territorio e insegna come navigare sul lago, formando guide turistiche e alpine. Lì poi si possono noleggiare le attrezzature e usufruire di una palestra di roccia e un percorso avventura. – e continua – È stato molto d’esempio vedere che lì le persone vivono con nulla ma sono contente. Un giorno siamo andati in un villaggio limitrofo a dare una mano a fare i mattoni di fango essiccato al sole, mentre un altro nostro compagno fisioterapista ha assistito una bambina che aveva problemi motori. Abbiamo conosciuto anche due Cholitas, le tradizionali donne indigene boliviane con le gonne larghe e tre quattro maglioni addosso – poi conclude – La vita nell’altopiano non è semplice ma la gente è generosa, è stato bello poter parlare con loro e capire la loro cultura».
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