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Fra Zuccolo, una vita accanto ai ragazzi dell’oratorio di S. Giobbe

Il prossimo 10 febbraio ricorreranno i 65 anni dalla morte del canossiano veneziano che, durante la prima guerra mondiale, ha dato una mano alle famiglie in difficoltà. Il parroco, padre Antonio Papa, lancia la proposta di ricordarlo attraverso una serie di iniziative

«Dighe che i staga bassi bassi!». È racchiuso in queste poche parole – vero e proprio invito ai ragazzi e chierici che frequentavano gli spazi dell’oratorio a rimanere semplici e umili – il messaggio del canossiano fra Giovanni Zuccolo, che nell’arco dell’intera sua esistenza ha ispirato le sue azioni. A conferma di come per il sacerdote veneziano, nato il 20 dicembre 1874 in calle della Madonna, nel popoloso sestiere di Cannaregio, il centro di tutto fossero proprio l’umiltà, la povertà interiore e il lasciare spazio all’agire del Signore. È una figura cara alla parrocchia di San Giobbe, quella di fra Zuccolo, del quale il prossimo 10 febbraio si celebreranno i 65 anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1960. Lo scorso dicembre, invece, la comunità canossiana della città d’acqua ha ricordato i 150 anni dalla nascita. «Per il 2025 stiamo pensando di organizzare qualche iniziativa in suo ricordo – riflette il parroco di San Giobbe, padre Antonio Papa, insediatosi a Venezia da pochi mesi –. Sono arrivato di recente in questa comunità, ma ho già potuto toccare con mano una certa vitalità dell’oratorio: chiaro, da tempo ormai non assistiamo più alle frotte di centinaia di bambini e ragazzi, ma di giovani comunque ce ne sono. La catechesi è frequentata fino all’età della Cresima». Una Venezia diversa, rispetto ad una volta, oggi segnata da una denatalità e da un calo del numero degli abitanti inesorabile. Mentre all’epoca di Francesco Antonio Zuccolo – poi diventato fra Giovanni, che aderì alla Congregazione dell’Addolorata, fiorente a San Giobbe – le difficoltà erano altre, diverse dalle attuali, e lui le ha toccate con mano.

Tante furono le grazie e fu dichiarato Servo di Dio

Quello di Cannaregio era forse il sestiere più popoloso e popolare del centro storico, che appariva come una zona periferica rispetto alle altre. Le famiglie si aiutavano e si rispettavano e in molte case le ristrettezze non mancavano: le scarpe per i ragazzi, ad esempio, rappresentavano un lusso, un accessorio che i loro genitori potevano permettersi di acquistare nuovo solo nel giorno della Prima comunione. L’ex macello comunale dava da lavorare a molti, compreso il padre di fra Zuccolo, e i figli dei macellai erano soliti frequentare il limitrofo oratorio di San Giobbe. Luogo a cui il sacerdote, sepolto in chiesa, in una cappella laterale, ha dedicato tutta la sua vita, divenendo un vero e proprio punto di riferimento. «Marco Cè, già Patriarca di Venezia, raccolse molte testimonianze di chi fra Giovanni lo aveva conosciuto e da parte di coloro che da lui erano stati formati in oratorio, tanto da averlo spinto ad invitare ad aprire la causa di canonizzazione. È stato dichiarato Servo di Dio e adesso… c’è solo da sperare che faccia qualche miracolo!», dice con un sorriso il parroco. «Grazie da parte sua ce ne sono state tante. Un catechista mi ha raccontato che suo padre, in tempo di guerra, era stato da lui aiutato. Gli ha detto che se non ci fosse stato fra Giovanni, la sua famiglia non avrebbe avuto da mangiare. In passato molte iniziative sono state organizzate proprio a San Giobbe, a cominciare dalla vecchia Caritas, che preparava pentoloni di minestroni per i poveri della zona».

Una vita da sempre votata ad aiutare gli altri, in particolare i ragazzi

Le giornate trascorse in oratorio, per fra Zuccolo iniziano presto; lo zio materno, Giuseppe Marella, catechista, gli fa da guida e maestro e lo introduce in quegli spazi insegnandogli le preghiere. Le stesse che il nipote comincia poi a trasmettere ai più piccoli. La sera del 2 novembre 1895, Zuccolo entra in oratorio deciso a restarvi per diventare canossiano. Al mattino si dedica alla pulizia dell’ambiente, aiutando in cucina, mentre al pomeriggio accoglie i ragazzi per seguirli nei giochi e nelle lezioni del catechismo. Prende i voti l’anno seguente, con il nome di fra Giovanni, e come suo riferimento mantiene quello del superiore fra Vincenzo Ferro. Tempo dopo, la prima guerra mondiale arriva a turbare anche la vita dell’oratorio, con i canossiani impegnati a confortare e ad assistere i fanciulli e gli adulti rimasti in città, e a scrivere lettere d’incoraggiamento a quanti erano partiti per il fronte. E intanto a Venezia comincia a scarseggiare il cibo e vengono aperti 16 asili nei quali vengono assistiti 500 ragazzi. La morte del superiore fra Vincenzo segna una svolta significativa, uno snodo che in qualche modo porta, con le conseguenti decisioni prese da fra Zuccolo, a mantenere in vita la storia dell’oratorio di San Giobbe. Fino ad oggi.

Un'opera destinata a durare

Se da un lato infatti il sacerdote affida nelle mani del Patriarca La Fontaine tutte le sue incertezze legate alla continuità dell’opera e dell’istituto, rimettendo la sua nomina a superiore nel timore di non farcela, dall’altro la visita all’oratorio del veronese fra Giovanni Calabria – fondatore delle congregazioni dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza – lo porta a proseguire la sua missione. «Ha detto che la vostra opera deve continuare», riferisce infatti La Fontaine a Zuccolo, riportando a quel tempo le parole di fra Calabria. Un tassello fondamentale, nella storia dell’oratorio, costituita da una serie di ulteriori pezzi di un puzzle ai quali hanno fatto sempre da sfondo alcune raccomandazioni care a fra Giovanni: l’umiltà, la carità, la pietà e la sorveglianza dei ragazzi, con i fanciulli che per lui dovevano essere trattati perdonando le loro mancanze. Poi l’ingresso di padre Angelo Pasa e l’organizzazione di una serie di stanze destinate ad accogliere i religiosi che uscivano dal noviziato e completavano la successiva formazione al sacerdozio, frequentando il Seminario patriarcale. Infine, per 12 anni, la nomina a preposito generale. «Si racconta che fra Giovanni sia morto pronunciando questa frase: “Me raccomando i fioi (mi raccomando i ragazzi, ndr)”. D’altronde era vissuto lì, nell’oratorio di San Giobbe, proprio per loro».

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