
Coraggio, la pandemia è finita ormai da tempo: l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha dichiarata superata il 5 maggio 2023, più di un anno e mezzo fa. Il tema è sparito dall’attualità, i network e i social non ne parlano proprio più. Superata e quasi dimenticata. Da tempo ormai si va di nuovo in vacanza, si esce all’aria aperta, ci si può abbracciare: ci siamo definitivamente allontanati da quel periodo difficile, imbrattato di incertezza e di morte. Eppure… Eppure ancora qualcosa non va, soprattutto per i più giovani.
Lo spunto riflessivo mi giunge da qualche insegnante delle scuole secondarie che racconta come durante la pandemia i ragazzi, prevalentemente adolescenti, scoppiassero a piangere all’improvviso durante le lezioni. Crisi adolescenziali? Primi amori durati troppo poco? Incomprensioni genitoriali?
Tutti sanno che l’adolescenza è un periodo tumultuoso che si snoda attraverso una tempesta ormonale unica nell’esistenza di un essere umano. E allora: è qualcosa ancora legato al Covid, all’isolamento coatto in casa, alla perdita della socializzazione da lockdown? Questa volta, in realtà, sembra che il Covid centri poco: forse l’isolamento ha solo funzionato da moltiplicatore di un disagio interiore preesistente. Da alcuni studi (fonte Ansa) sembra che i sintomi depressivi negli adolescenti siano aumentati nel periodo 2005-2017 quando il Covid non c’era ancora. Il focus ci racconta realtà ben diverse da quelle finora conosciute. Il termine “crisi adolescenziale” ha ora un nome e cognome: si chiama depressione.
La notizia riportata dalla prima agenzia di informazione multimediale italiana si riferisce a uno studio pubblicato sul Journal of Abnormal Psychology che ha coinvolto 200mila adolescenti tra i 12 e i 17 anni e 400mila adulti, cioè persone con più di 18 anni, in un periodo complessivo di 9 anni, dal 2008 al 2017. Il tasso di individui che hanno riferito sintomi depressivi è aumentato del 52% negli adolescenti tra il 2005 e il 2017 – passando dall’8,7% al 13,2% per i teenager – e del 63% tra i giovani adulti di 18-25 anni tra 2009 e 2017, salendo dall’8,1% al 13,2%.
Alcuni scienziati interpretano il dato come un disadattamento cerebrale ai cambiamenti tecnologici della nostra epoca e auspicano un veloce ritorno alle sane abitudini dei nostri avi soprattutto per quanto riguarda l’igiene del sonno: basta andare a letto con il tablet o con il cellulare, è meglio spegnerlo un’ora prima di coricarsi. Non tutti, però, sono d’accordo su questa interpretazione. Un chiarimento clinico ci viene offerto dalla Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica citando un focus dell’OMS del 2021 sulla salute mentale degli adolescenti, dal quale emerge che circa il 50% di tutti i disturbi mentali inizia prima dei 14 anni. Il mancato e precoce riconoscimento di queste malattie si ritorcerà sulla salute mentale dell’individuo anche in età adulta.
Ma questo non rappresenta l’unico dato preoccupante. Ansia, depressione e disturbi del comportamento rappresentano le principali cause di malattia tra gli adolescenti; il suicidio tra i 15 e i 19 anni rappresenta la quarta causa di morte. Il dato sconfortante è rappresentato dalla constatazione che queste disabilità psichiche non vengono intercettate e quindi non vengono trattate.
Altre condizioni sono confinate entro le mura di casa ed emergono poco in ambito sociale: è il caso, ad esempio, degli hikikomori – i ragazzi che scelgono di “stare in disparte”, in Giappone sarebbero un milione e mezzo… – un disagio sociale tipicamente adolescenziale che si manifesta con un ritiro spesso assoluto dalla vita partecipativa sia scolastica sia lavorativa e che non avrebbe nulla a che vedere con altri disturbi psichiatrici tipo schizofrenia o psicosi.
Le soluzioni a questi problemi sono complesse e non immediate e dovranno necessariamente passare attraverso la riconquista del piacere nello stare insieme, nel ricreare i benefici del condividere lo spazio esistenziale famigliare, nel gusto di apprendere cose nuove direttamente da i nonni e dai genitori. Proprio come si faceva una volta. Per tornare, a poco a poco, a sorridere.
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