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A San Francesco della vigna l’uva cresce tra i fiori

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Un metodo innovativo e biologico per coltivare grazie alle api

«Nonostante abbiano preso un po’ di tempesta i grappoli si sono ripresi» – esordisce entusiasta padre Antonio Pedron, responsabile della vigna nel convento omonimo di San Francesco – «Il lavoro prezioso di impollinazione delle api, attirate dai fiori in cui è immersa una parte dei filari, ha prodotto un’uva buona anche al gusto, nonostante il salso del terreno rischiasse di rendere il vino un po’ aspro, quest’annata il risultato è andato oltre le nostre aspettative».

Nel vigneto urbano più antico della città, da quando è stata avviata una collaborazione con la pregiata cantina Santa Margherita, di proprietà della famiglia Marzotto, vengono coltivate due varietà di vite, una glera da prosecco e un uvaggio da malvasia (che però non può avere questa denominazione perché fuori zona). Le viti sono state re-impiantate nel 2019 e dopo tre anni di attesa la vigna ora è pronta a produrre vino per la commercializzazione, anche se solo dopo sette anni dalla posa inizierà ad essere nel suo pieno vigore.

Frate Antonio mostra orgoglioso i frutti della vigna di San Francesco
San Francesco della Vigna: il vigneto con quasi 800 anni di storia

Dei tre chiostri che formano il convento storicamente due di questi sono impiegati per la coltivazione di orto e vigneto. «Già Marco Ziani, figlio del Doge Pietro, nel suo testamento del 1253 quando scrive di donare il terreno ai frati minori, specifica che si trattava dell’unica vigna di Venezia con annesse “officine” per vinificare» – racconta frate Antonio – «E qui l’uva è rimasta fino al dominio prima di Napoleone e poi degli Austroungarici, che avevano trasformato il complesso in una caserma, distruggendo i filari».

Con il ritorno dei frati è stato subito posto rimedio all’atto sacrilego, enologicamente parlando, con una auto-produzione di vino che era limitata al consumo interno, in un ambiente poco curato dato che, come ricorda il religioso: «Al tempo qui si viveva in clausura, l’accesso dall’esterno era negato, ma da quando si è insediata la facoltà di studi ecumenici, abbiamo voluto rivalorizzare il territorio, usando la nostra cara vite come uno strumento per sostenere gli studenti».

Raccolta dei grappoli d'uva nel vigneto di San Francesco della Vigna
Oltre il vino: perché i frati si impegnano nella vigna

«L’attuale progetto avviato con Santa Margherita, porta avanti l’intenzione da cui eravamo partiti con l’idea di creare un vigneto da cui poter venderne i frutti in beneficienza per sostenere l’istituto di studi ecumenici, permettendo a qualche studente in più di prendervi parte», spiega padre Stefano Cavalli, guardiano e responsabile della vigna fino allo scorso anno, appena rientrato da Gerusalemme, dove insegna presso lo Studium Biblicum Franciscanum.

«Avevamo iniziato quando era Preside padre Roberto ed eravamo abbastanza liberi nella scelta del vino, con il supporto di una rete di volontari della provincia di Verona, ma questo impegnava molto tutta la nostra comunità» – continua il religioso – «Con il supporto di Santa Margherita, che ha deciso di sostenere il nostro progetto, siamo in grado di mettere a disposizione un’ulteriore borsa di studio che copre le spese di un anno per uno fra la dozzina di studenti che ospitiamo, spesso provenienti da paesi poveri e lontani».

Padre Antonio e il personale di Santa Margherita addetto alla raccolta dell'uva
Una produzione interamente biologica grazie a fiori e api

«Assieme all’azienda abbiamo scelto di seminare dei fiori e non dell’erba per la glera» – spiega frate Antonio – «I fiori attirano le api che aiutano a impollinare la vite che produce più frutto e rende il prato più sano, il nostro è arricchito da papavero rosso e della California oltre a fiordaliso di diversi colori, a dimostrare la piena natura biologica della produzione, infatti sono tutte piante che coi trattamenti chimici sparirebbero».

«Abbiamo unito tradizione e tecnica enologica in un luogo suggestivo dove si incontra una tranquillità e una presenza di animali che è difficile ritrovare a Venezia» – continua il francescano – «Questo riavvicinarsi alla natura sorprende tutti i nostri visitatori, tanto che lo definiscono un piccolo paradiso, anche se io spero che l’originale sia meglio, sono d’accordo che non servono tante cose per apprezzare la bellezza autentica, che viene da Dio». Le bottiglie prodotte, circa 300 nel 2022, aumenteranno nel tempo e dal prossimo anno si potranno trovare in commercio oltre all’attuale uso di rappresentanza. «Ci resta solo da scegliere il nome» – confessa padre Antonio – «Ma lo annunceremo a tempo debito!».

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