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Alla Biennale il Vaticano incontra le periferie

La Santa Sede partecipa alla 60° Biennale d’Arte realizzando in via eccezionale il Padiglione all’interno del carcere femminile della Giudecca

Incontrare le periferie: questa la priorità dell’arte secondo il Padiglione della Santa Sede alla 60^ Biennale d’Arte di Venezia che, intitolato “Con i miei occhi”, quest’anno eccezionalmente sarà allestito all’interno del Carcere femminile della Giudecca. Un’esposizione originale, curata da Chiara Parisi e Bruno Racine, che per la prima volta verrà visitata dal Santo Padre, proprio perché in linea con il suo pontificato. Papa Francesco, infatti, il 28 aprile sarà per la prima volta in città per inaugurare il Padiglione Vaticano e visitare la Biennale. «Sarà un momento storico che dimostra la volontà della Chiesa di consolidare il dialogo con il mondo delle arti e della cultura» ha spiegato il commissario del Padiglione, il cardinale José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, durante la presentazione del Padiglione, avvenuta lunedì 11 in Vaticano.

In linea con le esortazioni di Papa Francesco

L’idea di creare il padiglione del Vaticano all’interno del carcere giunge dopo l’incontro di Papa Francesco con gli artisti nella Cappella Sistina in occasione dei 50 anni dalla collezione di arte contemporanea dei Musei Vaticani. Il Papa aveva infatti esortato gli artisti a rimanere vigili come sentinelle e a parlare dei poveri e delle periferie del mondo. Gli artisti per Papa Francesco sono infatti coloro che hanno la capacità di sognare nuove versioni del mondo e, come profeti, sanno guardare alle cose in profondità e in lontananza. «Il titolo del Padiglione, “Con i miei occhi”, vuole focalizzare l’attenzione sull’importanza di come costruiamo insieme lo sguardo sociale, culturale e spirituale di cui siamo tutti responsabili – ha detto il card. de Mendonça  – Viviamo l’epoca del predominio del digitale. Vedere con i propri occhi conferisce alla visione uno statuto unico perché ci rende non spettatori ma testimoni».

Una nuova idea di Padiglione

Il Padiglione è nato con l’idea di instaurare una proposta artistica tra artisti e detenute a 360°. «Abbiamo proposto una costellazione di artisti che si esprimono con mezzi diversi. – spiega il curatore Bruno Racine – Il concetto di padiglione come struttura fissa si scioglierà in un percorso che condurrà il visitatore in un altro mondo, in linea con il tema della Biennale, “Stranieri Ovunque”, proposto dal curatore Adriano Pedrosa. «Entrando nel Padiglione il visitatore dovrà abbandonare il telefono, attraverso cui è abituato a guardare la realtà, e dovrà tenere a mente, con i suoi occhi, ciò che vedrà. Per la visita servirà prenotarsi in anticipo e fornire i propri dati: «Abbiamo messo a sistema un percorso di sicurezza condiviso con le detenute» spiega Giovanni Russo, capo dipartimento del Ministero della Giustizia per l’Amministrazione Penitenziaria, dicendo che la partecipazione delle 80 carcerate è avvenuta su base volontaria, eccetto alcune esclusioni per motivi di salute o sicurezza. Alcune saranno anche operatrici museali che accompagneranno i visitatori alla scoperta della mostra. «Il carcere è il luogo dove l’attesa è una condizione preminente. Scopo dell’amministrazione è trasformare questa attesa nella speranza di una vita diversa. – e continua Russo – Questo progetto aiuta le detenute a produrre una revisione critica del loro agito. Sono state chiamate ed essere protagoniste e ad individuare nell’arte quei valori che avevano calpestato» racconta, dicendo che la partecipazione garantirà benefici penitenziari.

Artisti e detenute, un progetto condiviso

Il percorso all’interno del Padiglione di snoderà attraverso dei cantieri-serbatoi di creatività nei punti chiave del cortile, della sala degli incontri con le famiglie e della ex-cappella. Gli artisti stanno ora producendo le opere che saranno installate nel mese di aprile. Claire Tabouret, ad esempio, ha chiesto alle detenute una foto di quando erano piccole per creare nel suo atelier a Los Angeles una trentina di opere. Simone Fattal, invece, nonostante abbia più di 80 anni, è appena partita per il sud della Francia per sviluppare 50 sculture verticali: placche di lava smaltata che diventano la tela su cui si intrecceranno poesie e narrazioni scritte dalle detenute, che saranno poste nel viale all’interno del carcere. «Le poesie – spiega la curatrice Chiara Parisi – parlano del senso di colpa dalle detenute per il peso che fanno portare alle loro famiglie». Sul concetto della spiritualità in particolare si focalizzeranno gli interventi di Sonia Gomes, che interverrà nella cappella, e di Corita Kent, attivista pacifista contemporanea di Andy Wharol, unica artista non in vita presente nel Padiglione. «Inoltre l’artista e regista Marco Perego e la star del cinema americano Zoe Saldana, proprio in carcere, hanno realizzato un corto di 12 minuti che parla di sentimento e desiderio dietro le sbarre, a cui hanno partecipato 20 detenute» continua Parisi. Nel padiglione anche un intervento del duo Claire Fontaine che invita a superare i confini, mentre la coreografa e danzatrice Bintou Dembélé proporrà una coreografia composta per le detenute.

C’è anche Maurizio Cattelan

Tra gli artisti ci sarà anche Maurizio Cattelan: «Lui non è un artista provocatorio – dice Parisi- ma lavora su tabù che non sono mai presi in considerazione anche dal processo artistico. Per l’occasione tornerà alla Biennale dopo 25 anni per realizzare sulla facciata esterna della ex cappella della casa di detenzione un affresco dedicato alla figura paterna». Cattelan anni fa era stato fortemente criticato per l’opera “La nona ora” in cui rappresentava Papa Giovanni Paolo II schiacciato da un meteorite, ancor prima che venisse proclamato Santo. «Cattelan dice che ci vorrà più di un decennio per capire la dimensione spirituale dell’opera. – spiega Racine – Chi ha incontrato Giovanni Paolo II vedeva un uomo fisicamente schiacciato dal dolore e l’opera di Cattelan non è che questo: un uomo colpito che cerca di rialzarsi». Giovanni Paolo II sapeva parlare della vulnerabilità: «Il rapporto tra la spiritualità e il sacro con l’arte è complesso, ma la libertà artistica deve essere una componente. Parlare della vulnerabilità di un Santo non lo squalifica, anzi. – ha detto infine il card. de Mendonça – L’arte ci aiuta a vedere la fragilità della nostra condizione umana».

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