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Ansia e disturbi del comportamento alimentare nei giovani

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Un incontro a Pianiga organizzato dal Rotary Club Passport Marco Polo con un team di specialisti

La seconda causa di morte per i giovani in Italia? Dopo gli incidenti stradali sono ansia e disturbi del comportamento alimentare. Se nei primi anni 2000 l’incidenza era di circa 300.000 persone, oggi si sfiorano i tre milioni, concentrati soprattutto tra gli adolescenti. «Dopo il Covid l’incidenza è aumentata del 40% – esordisce il dottor Robert De Carli, organizzatore di una serata di approfondimento sul tema ospitata nel teatro comunale di Pianiga il 12 aprile scorso – per questo si rende necessario rafforzare una rete di intervento efficace, per quella che è a tutti gli effetti un’”epidemia” silenziosa, ma drammaticamente tangibile».

«Si tratta di una tematica scomoda – fa eco il sindaco di Pianiga Massimo Calzavara – ma è importante proprio parlarne per aumentarne la consapevolezza». «Nel nostro comune l’ufficio di aiuto psicologico ha raddoppiato i contatti nel post Covid – aggiunge il vicesindaco Piergiovanni Sorato – nonostante il disagio rileviamo però che i giovani hanno superato il tabù di richiedere un supporto psicologico». «Purtroppo però spesso si confrontano con immagini stereotipate o artificiali, come quelle che trovano sui social network – aggiunge Giovanni Leoni, Presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Venezia è necessario quindi diffondere da un lato una cultura del rispetto per il proprio corpo, dall’altro di una corretta alimentazione». L’incontro, intitolato “Ansia e Disturbi del Comportamento Alimentare nei giovani” è stato organizzato dal Rotary Club Passport Marco Polo.

Disturbi del comportamento sempre più di carattere psichiatrico

«Si tratta di un tema molto delicato e complesso – spiega il dottor Moreno De Rossi, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’ULSS3 Serenissima – basti pensare che nella nostra ULSS in tre anni abbiamo visto un aumento del 12% nei pazienti seguiti e questa è solo la punta di un iceberg, c’è moltissima sofferenza latente, ma il dato preoccupante è che i picchi maggiori di questo trend si registrano nei giovani fra i 18 e i 24 anni oltre agli over 65. Nei primi tre mesi del 2024 sono arrivate 900 richieste di prime visite, per una media di dieci al giorno. Dato che in psichiatria difficilmente si arriva per una consulenza, si tratta di nuovi percorsi in avvio. L’aspetto positivo è che si ha minor paura di chiedere aiuto e i giovani lo percepiscono».

«Questi numeri possono sembrare sterili – aggiunge – i dati sono facili da presentare, molto meno da comprendere. Siamo di fronte a una situazione, aggravata dal Covid, che mostra i segnali di una profonda fragilità nelle famiglie e nel contesto ambientale in cui vivono i giovani, sottoposti a una crescenti pressione di alte prestazioni fin da bambini che crea stress. Le patologie mentali in aumento infatti sono ansia, attacchi di panico, fobie, disturbi ossessivo compulsivi, ADHD e disturbi di personalità. La predisposizione genetica c’entra, ma fino a un certo punto, buona parte di queste problematiche sono legate ai primi anni di vita e al confronto con le figure genitoriali, la società e le situazioni della vita, dalle relazioni al lavoro. Si tratta sempre di concause, la maggior parte delle malattie sono multifattoriali e di conseguenza gli approcci di cura di sommano, fra aspetti psicologici e farmacologici, in questo senso la capacità richiesta al sistema sanitario è quella di personalizzare il più possibile l’intervento con equipe multidisciplinari di specialisti».

Questione di percezione: la psicologia dietro alla visione del proprio corpo

«Le principali direzioni in cui si manifesta un disturbo alimentare iniziano con un’insoddisfazione corporea e con una difficoltà legata ad accettare la propria immagine – spiega la dottoressa Nadia Campagnolo, referente dell’ambulatorio per disturbi del comportamento alimentare dell’ULSS3 – è qualcosa che interessa nel corso della vita il 10% delle donne dei Paesi occidentali, in rapporto 1:10 rispetto ai maschi, che però anche se inferiori chiedono aiuto con maggior fatica. L’anoressia nervosa è causata al 50% da componenti biologiche e genetiche, per la restante parte da caratteristiche della personalità che, anche se non fanno parte del disturbo, possono mantenerlo nel tempo».

«L’elemento centrale resta un’immagine di sé e del proprio corpo completamente alterata in senso negativo – spiega l’esperta – questo aspetto colpisce il giudizio e si trasforma in un’ossessione maniacale per i dettagli. Sono pensieri che iniziano molto presto e si manifestano soprattutto durante l’adolescenza dove il fisico è alla base dell’autostima, perché il repentino cambiamento corporeo espone a fattori di rischio assieme al confronto coi coetanei, che però con il Covid è venuto a mancare e paradossalmente è stato peggio, lasciando soli di fronte ai propri disturbi. I social poi condizionano enormemente l’immagine corporea mostrando modelli falsati e immagini ritoccate di persone anche vicine a sé ma irraggiungibili per via di rappresentazioni non reali. Per questo sarebbe utile educare verso un uso consapevole di questi strumenti, che possono diversamente essere molto pericolosi».

Gestire una "bomba" emotiva per famiglie e genitori

«Questi disturbi li ho vissuti sulla mia pelle – racconta emozionato Stefano Bertomoro , Presidente nazionale dell’Associazione Fenice – quando io e mia moglie abbiamo letteralmente salvato nostra figlia dall’anoressia, dopo che aveva perso 15 chili in due mesi e ci siamo riusciti solo grazie all’aiuto di altre famiglie che stavano passando o avevano superato questo incubo. Da questa esperienza ho deciso di ritornare questo supporto, attraverso l’impegno con l’Associazione Fenice, nata nel 2006 a Portogruaro, dove è presente il primo e più importante centro per queste malattie della regione. Oggi coordiniamo 20 associazioni in tutta Italia e lavoriamo a stretto contatto con istituzioni, scuole e sistema sanitario». 

«Quando un disturbo alimentare arriva in una famiglia – conclude – è come se esplodesse una bomba, mettendo a dura prova qualsiasi equilibrio, perché la prima cosa che si chiede un genitore è “dove ho sbagliato?”, nessuno mette in preventivo che un figlio possa rischiare di morire per dei comportamenti che si autoinfligge. Noi supportiamo i nuclei famigliari per superare lo stigma del senso di colpa e lavoriamo in sinergia con l’ULSS3. La sanità dipende dai fondi ma è fatta soprattutto di persone, i medici sono uno dei nostri interlocutori primari, soprattutto perché devono potersi parlare nei casi in cui un figlio diventi maggiorenne e il genitore non abbia più margini per intervenire. Collaborando con le scuole ci capita spesso di avere anche molti professori che segnalano studenti che vedono cambiare velocemente peso, oltre che aiutare le famiglie. Tutto questo funziona ed è davvero efficace quando si riesce a dialogare fra le varie parti. Il nostro impegno in questo senso è incentivare questo dialogo, per aiutare questi ragazzi e chi vuole vederli tornare a stare bene per riprendere la loro vita in mano».

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