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Nel libro di Ferlin il grido di dolore dell’Afghanistan

Attraverso la storia di due ragazze, “In questa notte afgana” Pamela Ferlin racconta il buio calato nel Paese con la presa di Kabul del 2021

Due ragazze in un Paese diviso e tradito combattono una silenziosa lotta impari per far sentire la propria voce e dare forma ai propri sogni. È di questo che parla “In questa notte afgana”, il romanzo d’esordio di Pamela Ferlin presentato alcuni giorni fa allo SpazioEventi della libreria La Toletta di Venezia. Il libro, edito da Piemme, in 240 pagine, attraverso la vera storia di due ragazze, racconta della terribile situazione dell’Afghanistan da quando il 15 agosto 2021 Kabul è stata presa dai Talebani. Pamela Ferlin, scrittrice padovana laureata in Sociologia, da anni collabora con il Corriere della Sera, raccontando per mestiere le storie delle aziende e per passione le vite degli altri. Da tempo è volontaria della Ong Arghosha Faraway Schools, nata per aprire scuole in Afghanistan, per cui era stata incaricata di seguire le ragazze hazara provenienti dalla provincia di Bamyan alle quali, grazie ad una borsa di studio, era stato concesso di studiare all’università a Kabul. Dal giorno in cui la città è stata occupata è così in contatto via messaggio con Sima e Aziza che, terrorizzate e sole, le raccontano in presa diretta quello che succede. «In particolare con la ventenne Sima iniziamo una disperata chat piena di pathos e diventiamo molto intime, imparando ad usare un codice comunicativo nostro» racconta Ferlin. Dalle testimonianze che le arrivavano in inglese dalle ragazze, Ferlin trasforma le pagine del quotidiano in un diario giornaliero su quello che avveniva in Afghanistan. Una narrazione che poi ha deciso di riversare nel romanzo che, nato in sei mesi, riesce ad approfondire i temi delineando una storia di grande attualità che mette di fronte alle grandi e piccole criticità ed ipocrisie.

Il libro

Nel libro la narrazione si sviluppa a doppio binario tra l’Italia e l’Afghanistan. I capitoli italiani sono raccontati attraverso l’io narrante della protagonista Vittoria, alias la giornalista Pamela Ferlin, mentre le parti che raccontano la vicenda afghana delle ragazze sono raccontate attraverso un narratore onnisciente. Per contrapposizione alle vicende delle due ragazze afghane poi, nel libro si affianca la narrazione delle due figlie della protagonista, che vivono i problemi e l’egocentrismo degli adolescenti e a fatica capiscono il disagio provato dalle ragazze afghane. Ogni volta che Vittoria riceve un messaggio è un pugno nello stomaco. «La vicenda ha visto la mia piena partecipazione, l’ho seguita con passione patendo con loro. Queste ragazze ho imparato a conoscerle: loro sono legate culturalmente, affettivamente e socialmente alla famiglia. Sono timide, delicate, educate al rispetto e all’obbedienza e non hanno sfrontatezza. Mi sono entrate sotto la pelle e mi sto muovendo per conoscerle» dice, raccontando l’attuale terribile situazione dell’Afghanistan.

La presa di Kabul

L’arrivo dei talebani fu una tragedia sorta nel giro di una notte. Alle donne sono stati subito tolti tutti i diritti, compresi quello di studiare e di uscire di casa da sole. Le ragazze al tempo si trovavano in uno studentato di Kabul e si sono dovute disperdere: «Erano lontane da casa, sole e disperate. Non sapevano come tornare a casa e avevano il terrore di essere prese per strada perché non avevano il burqa e tantomeno i soldi per poterlo comprare. – spiega Ferlin – Si trovavano nella condizione peggiore: avendo studiato in un’università internazionale americana erano stigmatizzate, inoltre erano hazara sciite in un contesto sunnita. Ora una donna non sposata e istruita è considerata una fuorilegge. Rischiavano di venir picchiate, arrestate, o peggio» racconta Ferlin, sottolineando che i problemi dell’Afghanistan sono la povertà, la privazione dei diritti alle donne, il genocidio degli hazara e la tossicodipendenza, una seria piaga diffusa tra la popolazione giovanissima. Anche gli uomini però hanno il terrore dei talebani perché, come massacrano le donne, si possono scagliare anche contro chi non porta la barba. Lapidazioni ed impiccagioni avvengono costantemente. – e spiega – I bambini vivono in isolamento indottrinati in modo ottuso allo studio del corano, privati della presenza femminile e sodomizzati». Nel libro non manca il racconto di Leila, personaggio ambiguo, che vive in un campo talebano e che per sopravvivere nasconde la sua femminilità, ma anche quello di Saleh, giovane conduttore della TV afghana di stato datosi alla macchia per scappare dai talebani, che ha contattato Ferlin tramite Facebook in cerca di aiuto: «Dopo pochi giorni un ex marine a capo dell’intelligence americana che lavorava ancora in Afghanistan mi ha dato istruzioni su come farlo scappare. – racconta la scrittrice – Ora è a Doha in attesa di essere accolto come rifugiato in America».

Le ricadute

Il fatto che le donne non possano studiare ha una serie di ricadute importanti sul Paese: «Se nessuna si può laureare in medicina, questo significa che le donne sono destinate alla morte perché gli uomini non possono toccare nessuna donna se non la propria» spiega ancora Ferlin. Se dovesse continuare questa interpretazione così stretta della sharia le donne saranno quindi destinate a morire: «Ora in associazione l’unica borsa che abbiamo potuto ripristinare è ostetricia, non esplicitamente vietata. Insegando a fare le ostetriche ne approfittiamo per dare anche un’infarinatura generale di regole base della medicina. Inoltre le nostre professoresse continuano ad insegnare clandestinamente nelle loro caseesponendosi ad un vero pericolo, sotto l’uncinetto infatti le bambine hanno i libri di inglese e matematica» conclude la scrittrice, che nel libro racconta la vicenda delle due ragazze in bilico tra il desiderio di restarevicine alla propria famiglia e quello di scappare lontano, rischiando di essere violentate o uccise.

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