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B-WaterSmart: da acque reflue a pulite con Veritas a Venezia

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Un progetto finanziato dai fondi Horizon che mette insieme 6 città e aree europee

«Gli impianti di trattamento delle acque reflue devono diventare impianti di produzione dell’acqua». È quanto ha riferito Andrea Rubini, direttore operativo di Water Europe durante la presentazione del progetto europeo B-WaterSmart, finanziato da Horizon in collaborazione con Water Europe e Cirseau, tenutosi mercoledì 17 e giovedì 18 luglio nella sede del Centro Artigianelli alle Zattere a Venezia.

Il progetto ha coinvolto sei città o aree costiere europee, tra cui rientra anche Venezia con l’esperienza di Veritas che ha iniziato a lavorare in vari riutilizzi dell’acqua . Oltre alla città lagunare, hanno fatto parte del progetto per rendere i loro sistemi sostenibili e più resilienti al cambiamento climatico anche i Living Lab di Alicante (Spagna), Bodø (Norvegia), Fiandre (Belgio), Lisbona (Portogallo) e Frisia Orientale (Germania).

L’origine e lo sviluppo del progetto B-WaterSmart:

«Il programma di ricerca e innovazione è nato da un bando dell’Unione Europea per creare una Water smart and economy society in cui non ci sia scarsità di acqua, inquinamento e spreco. – spiega Rubini – L’acqua disponibile sulla Terra è poca e rappresenta uno dei più importanti limiti planetari». Tutte le città su cui il progetto si è concentrato sono aree complesse ed emblematiche legate alla gestione di acqua efficiente.

«Ogni anno in acqua vengono liberate 20 mila nuove molecole che ne vanno ad alterare le caratteristiche». Due sono gli impatti da gestire, in particolare sulle città costiere: il cambiamento climatico e quello demografico. «Il secondo è il più subdolo: in meno di 30 anni da 6 miliardi siamo passati a 8 la classe media aspira a un modello di vita di maggior benessere e questo esercita maggiore pressione su acqua, cibo e suolo. – continua Rubini – L’acqua dopo il suolo è la risorsa più sfruttata del pianata e per il 2030 il 56% della domanda d’acqua non sarà soddisfatta».

 

Andrea Rubini
La complessità della gestione dell’acqua

Il progetto ha quindi cercato di capire come gestire l’acqua trovando soluzioni dal punto di vista infrastrutturale e di gestione. «Abbiamo visto che nella rete di distribuzione c’è una dispersione del 30%, in Italia questo dato poi è ancora più alto. – afferma Rubini – Servono quindi investimenti infrastrutturali e che il Blue Deal venga sostenuto». Oltre a questo c’è bisogno di lavorare sulla gestione ingegneristica e digitale dell’acqua, che consente di regolare i flussi dove c’è più bisogno.

Inoltre occorre fare una tracciatura dell’acqua di scarico che permette di recuperare le risorse presenti: «Tra queste vi sono energia, nutrienti, metalli pesanti e preziosi e tonnellate di fosfati da riutilizzare in agricoltura attraverso tecnologie vincenti dal punto di vista economico. – e continua – Cosa importante è recuperare l’acqua, chiudendo i cicli senza quindi disperderla. Gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, quindi acque sia bianche che nere, devono diventare veri e propri centri di produzione dell’acqua che, trattata attraverso processi di ossigenazione, viene depurata per utilizzo irriguo, ma il passo successivo è che venga utilizzata anche per uso industriale e potabile. Il riutilizzo delle acque nere genera però delle resistenze, ma è solo un barriera culturale. Se non abbiamo acqua solo due sono infatti i casi possibili: desalinizzare o rimetterla in circolo» asserisce Rubini.

Le prospettive per il futuro: recuperare e desalinizzare le acque

Servono però anche nuove professionalità che sappiano gestire tutto questo: «Abbiamo individuato profili mancanti nella gestione, distribuzione e raccolta dell’acqua e nella gestione delle acque reflue, considerando però che l’acqua deve tornare anche nell’ambiente». Il punto quindi è fare in modo che l’acqua diventi circolare e non lineare, come ha sottolineato anche Tania Tellini, responsabile acqua di Utilitalia: «Oggi solo il 4% dell’acqua depurata viene utilizzata nel nostro Paese in modo diretto a fronte di un possibile 17% in usi industriali, agricoli e civili. Ci vuole un dialogo con il mondo agricolo e scientifico per far capire che l’acqua di riuso è sicura. – e spiega Tellini – Solo in Veneto circa il 59 % dell’acqua che esce dai depuratori potrebbe coprire il fabbisogno idrico della regione».

Il progetto B-WaterSmart continuerà a lavorare grazie alla partnership “Water 4 all”, finanziata per nove anni con un budget di 450 milioni dall’UE, iniziata 2 anni fa con 90 partner in 33 Paesi membri. Tra i casi studio migrati in questo progetto c’è anche Venezia, che ha dimostrato capacità di sostenersi, inserita così in un progetto di 25 Water Oriented Living Lab che a fine 2025 potrebbero diventare una 70ina a livello internazionale. Una grande voce per sottolineare i cambiamenti da mettere in atto e chiedere finanziamenti.

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