Un’opera usata come modello per la ricostruzione del centro storico di Varsavia, che testimonia la vivace attività di Bernardo Bellotto (1721 – 1780) come sensibile cronista della civiltà europea. Dopo l’opera “Cleopatra” di Artemisia Gentileschi, prosegue la rassegna di un Ospite a Palazzo della Galleria di Palazzo Cini con l’arrivo del dipinto “Varsavia, chiesa di Santa Croce” del celebre vedutista veneziano. L’opera, in prestito dal Museo del Castello Reale di Varsavia, sarà visibile fino al 15 ottobre. Nipote e allievo di Giovanni Antonio Canal, da cui prese astutamente il soprannome Canaletto firmando così le sue opere, Bellotto si differenzia dallo zio per un più analitico realismo e si reca in diverse città europee: Dresda, Vienna ed infine Varsavia, che fu la sua ultima residenza, dove morì nel 1780. Tre elementi in particolare caratterizzano la sua arte: il realismo, il drammatico impianto luministico e il sapere architettonico. Caratteristiche evidenti nella resa della facciata barocca della chiesa di Santa Croce a Varsavia, protagonista di una scena popolata di luce e brulicante di vita. Se nella parte alta il dipinto presenta un cielo colmo di nuvole, nella parte inferiore vede invece in scena il fermento di una città in pieno giorno, dove ogni classe sociale è rappresentata dando una testimonianza della variegata società settecentesca.
L’opera, realizzata nel periodo della maturità del pittore per l’ultimo re di Polonia, Stanislao II Augusto Poniatowski, fa parte di un ciclo di 26 vedute di Varsavia dipinte tra il 1768 e il 1780: si tratta del terzo grande ciclo di vedute cittadine realizzate dal pittore nelle corti europee. <L’opera insieme alle altre vedute venne collocata nell’anticamera Senatoriale del Castello Reale di Varsavia, celebre come Sala di Canaletto, e vi rimase fino al 1807. – spiega Bożena Kowalczyk, storica dell’arte e ambasciatrice del Castello di Varsavia a Venezia – Il ciclo poi passò al principe Jozef Poniatowski per finire requisito dallo zar Nicola I. Le opere rimasero in Russia fino al patto di Riga del 1922, quando fecero ritorno al Castello Reale>. Ma la storia non si ferma qui: <Nel 1939 vennero confiscate dal regime nazista e portate in Germania. – continua Kowalczyk – Il ciclo venne finalmente recuperato nel 1945 e collocato al Museo Nazionale di Varsavia, visto che il Castello Reale nel frattempo era stato raso al suolo dalle bombe tedesche. I dipinti di Bellotto infine nel 1984 rientrarono nella Sala di Canaletto dopo che il Castello fu ricostruito>.
Le opere di Bellotto vennero utilizzate come fonte documentaria per la ricostruzione del centro storico della città. In particolare, l’opera ora a Palazzo Cini servì come modello per la ricostruzione della chiesa di Santa Croce: <La chiesa rappresentata nel dipinto venne distrutta dopo la Rivolta di Varsavia del 1944 e ricostruita tra il 1945 e il 1953, in parte proprio secondo il dipinto di Bellotto> spiega Kowalczyk. Nel dipinto, oltre alla chiesa, una fitta schiera di palazzi nobiliari fiancheggia la via con, a destra, la facciata dell’ospedale di San Rocco, fondato nel 1707. Tra i palazzi si distingue anche la porta d’ingresso al cortile del Palazzo Kazimierz, assegnato per volere del re Poniatowski al Corpo dei Cadetti, poi divenuto sede dell’Università e le impalcature sulla facciata della chiesa dei Carmelitani, allora in costruzione. <Le vedute sono spesso intese in parte reali o fantastiche, è invece un aspetto davvero interessante che l’opera sia servita per il restauro della chiesa di Santa Croce, diventando un documento di straordinario interesse per il recupero architettonico> ha sottolineato invece Renata Codello, Segretario Generale della Fondazione Giorgio Cini. <Quando si vedono questi quadri si capisce quanto l’arte sia sempre stata globale> ha infine aggiunto Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Cini.
Se oggi sono le opere d’arte ad essere ospitate a palazzo, un tempo le sale erano vissute da grandi personaggi dell’arte e della musica. Giovanni Alliata di Montereale, nipote di Vittorio Cini, con l’occasione ha ricordato gli ospiti che si recavano a palazzo quando era piccolo: <Mio nonno organizzava spesso pranzi con politici, imprenditori e finanzieri ma anche con uomini dell’arte e della cultura come il pianista Arthur Rubinstein e il poeta Ezra Pound, mentre del mondo visivo, ad esempio, intesseva rapporti con i pittori Lucarda e Santomaso. Non amava però molto il contemporaneo, – ricorda – Vedova infatti frequentava il palazzo più perché era molto amico di mia madre>. Un cenacolo che continuò fino al 1977, data di morte di Vittorio Cini. Solo successivamente si decise di trasformare la sua dimora in sede museale, dove ora al posto di ospiti in carne ed ossa vengono accolte opere emblema dell’arte.
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