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Cantiere pilota sugli intonaci dei chiostri della Fondazione Cini

Prosegue l’intervento sperimentale, avviato a settembre scorso, che studia la ricetta perfetta per risolvere in città il problema della disgregazione degli intonaci

È in corso la prima fase diagnostica dell’intervento di restauro sperimentale degli intonaci nel quattrocentesco Chiostro dei cipressi progettato da Andrea Buora negli spazi monumentali della Fondazione Giorgio Cini nell’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, a cui seguiranno quelli sul Chiostro del Palladio. I lavori, della durata prevista di circa due anni, sono realizzati dalla Soprintendenza che ha stanziato un primo importo di 400 mila euro, a cui seguiranno altri 200 e 100 mila euro. Il cantiere pilota, di cui è progettista e direttrice dei lavori l’arch. Ilaria Cavaggioni, è stato avviato lo scorso 19 settembre e interesserà i 1400 mq di intonaci dei chiostri.

Al lavoro sulla "pelle"

La ditta Co.New Tech, insieme all’azienda Ngn, prima di realizzare in primavera il nuovo intonaco, attraverso indagini strumentali e analisi di laboratorio, sta sperimentando, tra tradizione e innovazione, materiali quali marmorino e coccio pesto, mischiando sapone o olio all’interno degli impasti. Inoltre sta attuando anche uno studio sulla granulometria e lo spessore degli intonaci. «Un intervento che non verrà più distrutto dall’acqua alta e che sarà d’esempio in futuro per la città. Ringraziamo la Soprintendenza che in breve tempo si è attivata nello studiare un progetto tutt’altro che semplice» ha detto Renata Codello, Segretario Generale della Fondazione Cini. «La Fondazione, luogo del Demanio dello Stato, non poteva presentarsi con la “pelle” in disordine» commenta il Soprintendente Fabrizio Magani. Attualmente le maestranze stanno provvedendo alla pulizia delle murature, compresa la rimozione degli intonaci di marmorino messi in opera nel 2005, che presentano diversi livelli di degrado, ormai irrecuperabili a causa della risalita dell’umidità e del conseguente deposito di sali che si sono accumulati sulle superfici e sulle finiture delle murature. Il fenomeno, grandemente accelerato con l’Acqua Granda del 2019, a oggi si manifesta fino ai tre metri di altezza. Occorre dunque procedere con un’accurata pulizia del paramento murario, eseguita rigorosamente a mano, effettuando contestualmente analisi chimico-fisiche.

Prove di rivestimenti

Sono già state realizzate delle campionature delle nuove proposte di rivestimenti per osservare i loro comportamenti nelle diverse condizioni ambientali. Ciò renderà possibile valutazioni e comparazioni dei fenomeni che investono le murature: saranno osservati gli indici di traspirabilità della muratura e rilevata la percentuale di sali che si trasmetteranno dalle pareti laterizie agli intonaci. Sono previsti anche interventi di consolidamento e protezione degli elementi lapidei e delle pregevoli grate in ferro delle finestre del chiostro. «Ogni cantiere di restauro è un momento prezioso per accedere al patrimonio conoscitivo, studiare e riflettere sull’architettura» spiega l’arch. Cavaggioni, anticipando che nel chiostro dei Buora al di sotto della centina in legno sono stati trovati dei lacerti di mano antica che si stanno studiando attraverso rimozione controllata. «Per quando deboli e frammentari sono testimonianze preziose per ricostruire assetti storici ed interventi antichi e di manutenzione che possono orientare in modo consapevole le future scelte di intervento».

I precedenti restauri

Il complesso dell’ex monastero benedettino, in cui la Fondazione Giorgio Cini ha sede dal 1951, si articola attorno a due chiostri rinascimentali: il chiostro orientale, detto “dei cipressi”, realizzato da Buora tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento, e il chiostro occidentale, palladiano, costruito nella seconda metà del XVI secolo. Fino a che Cini non compì il grande restauro, il complesso era adibito a caserma, identificato con l’intonaco rosso del cocciopesto. «Non si hanno notizie relative ad interventi di restauro degli intonaci precedenti al 1950, anno in cui Ferdinando Forlati aveva diretto il loro completo rifacimento. – spiega ancora l’arch. Cavaggioni – In quegli anni l’utilizzo di malte cementizie e catrame aveva molto limitato la traspirabilità delle murature causando un dannoso aumento dell’umidità, con conseguente accumulo delle concentrazioni saline portando alla disgregazione degli intonaci. Un problema aggravatosi con le maree sostenute del 1966, 2008, e in ultima del 2019, quando le pareti hanno iniziato ad essere bagnate per lunghi periodi vedendo l’accumularsi dei sali». Un successivo restauro fu realizzato tra 2003 e 2005 dallo studio Gregotti e consistette nel ripristino dell’intonaco a cocciopesto nel chiostro palladiano e di una finitura a marmorino in quello del Buora, a seguito della rimozione dell’intervento negli anni Cinquanta. «Purtroppo, la composizione dell’impasto, unita a uno spessore di parecchi centimetri mantenuto nell’applicazione dell’intonaco, ha reso insufficiente il processo di traspirazione e prodotto un degrado diversificato in ampie aree delle superfici intonacate» ha concluso Cavaggioni, sottolineando che ora l’intervento in via di realizzazione punta a trovare la ricetta perfetta replicabile per risolvere definitivamente in città il problema della disgregazione degli intonaci.

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