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Chi era Selvatico, l’inventore della Biennale

La Biennale d’Arte è arrivata alla 60^ edizione ed è occasione per ripercorrere la storia del suo inventore, il successo e i grattacapi della prima Esposizione

L’inizio della 60^ esposizione internazionale d’Arte de La Biennale di Venezia, arrivata ad un traguardo importante, è occasione per ricordare come questa è nata, ma soprattutto chi è stata la mente che si è celata dietro l’ideazione di una manifestazione oggi divenuta tra le più importanti al mondo. Ebbene, facendo un bel passo indietro, se la Biennale d’Arte oggi ha motivo di esistere è sicuramente grazie a Riccardo Selvatico, commediografo e poeta, uomo lungimirante e amante delle arti. Selvatico, nato a Venezia il 16 aprile 1849, fu sindaco della città dal 1890 al 1895.

Gli inizi e l’opera più nota

In città Selvatico studiò al liceo Santa Caterina per poi trasferirsi a Padova e frequentare la facoltà di giurisprudenza. Proprio nella città del Santo, Selvatico iniziò a frequentare il noto Caffè Pedrocchi, luogo di ritrovo degli intellettuali dell’epoca con cui si trovava a discutere di cultura e teatro, suo grande interesse. Nel 1868 cominciò a comporre poesie per l’amata Anna Maria Carolina Charmet, detta Nina, che sposò nel 1871, anno in cui fra l’altro si laureò. Il suo esordio avvenne il 25 giugno 1870 con l’opera teatrale “Una condanna”, rappresentata a Mira e accolta bene dalla critica. A questa seguì nel 1871 la commedia “La bozeta de l’ogio” con cui si iniziò a parlare di una rinascita della tradizione teatrale veneziana, sebbene il contesto fosse cambiato e al posto dell’operosa settecentesca borghesia mercantile comparivano sulla scena impiraresse e gondolieri. Compose anche opere in lingua italiana e collaborò con diverse compagnie. Se “A mosca cieca” risultò un insuccesso, “La contessa Elodia” ebbe grandi riscontri dal pubblico fiorentino e romano. Grande successo ebbe invece il 4 aprile 1876 al Teatro Goldoni di Venezia, quando portò in scena “I recini da festa”, nuova commedia in veneziano, ancora oggi considerata la sua opera più significativa per via della trama più articolata di ambientazione popolare e con personaggi di spessore psicologico. Al lavoro di autore, Selvatico affiancò quello di uomo di teatro a tutto tondo, tanto che nel 1884 aiutò Giovanni Verga nella rappresentazione di “Cavalleria rusticana”. Nel 1882 poi completò “Pesci fora de aqua” a quattro mani con l’amico Giacinto Gallina, in cui rappresentò l’incapacità dei veneziani a vivere in terraferma.

La vita pubblica e la nascita della Biennale

Ma Selvatico ebbe anche una carriera politica. Dopo aver aderito al programma progressista, nel 1889 fu eletto a Venezia consigliere comunale e subito dopo assessore. Fu però nel 1890 che venne eletto sindaco, carica di cui venne a conoscenza raggiunto da un telegramma mentre si trovava a Milano e che accettò solo dopo le insistenze dei suoi sostenitori. Il sindaco-poeta, come venne definito, divenne molto popolare per la sua attività culturale con cui rilanciò il dialetto e l’anima veneziana. Inoltre, tra i molteplici provvedimenti adottati vi furono la riduzione delle imposte di famiglia e del costo dei traghetti e la ristrutturazione e costruzione di case popolari. L’idea più innovativa durante il mandato di Selvatico, maturata tra i tavolini del Caffè Florian in Piazza San Marco, dove si trovava spesso a discutere con artisti e intellettuali dell’epoca, fu quella di “istituire una Esposizione biennale artistica nazionale”, prendendo spunto dalla Secession di Monaco di Baviera, per ricordare il 25° anniversario di matrimonio di re Umberto e Margherita di Savoia. Presentata in consiglio comunale il 19 aprile 1893, l’idea venne approvata il 30 marzo 1894. Selvatico progettò così la grande Esposizione internazionale d’arte insieme all’assessore competente Giovanni Bordiga e Antonio Fradeletto, nominato segretario generale, a cui spettava la selezione di artisti e  la cura degli allestimenti. Il Palazzo della prima Esposizione fu costruito febbrilmente ai Giardini pubblici di Castello, appena in tempo per la cerimonia d’inaugurazione avvenuta 30 aprile 1895, che vide la presenza di Re Umberto e di Margherita di Savoia, con la partecipazione entusiasta dei veneziani.

Successo e grattacapi

L’idea di Selvatico si rivelò vincente. L’esposizione, che ancora oggi conosciamo appunto con il nome di Biennale, ebbe straordinario successo: i visitatori furono più di 200 mila e fu molto apprezzata da Gabriele D’Annunzio. Ma già nella prima edizione non mancarono le critiche, in particolare inerenti l’opera il “Supremo convegno del pittore torinese Giacomo Grosso. L’opera, ambientata in una chiesa, raffigurava una camera ardente con feretro e cadavere attorniati da cinque figure femminili completamente svestite e diede a Selvatico un bel grattacapo. Subito il Patriarca di Venezia Giuseppe Sarto, futuro Papa Pio X, inviò una lettera a Selvatico chiedendo che l’opera non venisse esposta. Il sindaco allora  sottopose la questione ad una apposita commissione di letterati che stabilirono che il dipinto non recava oltraggio alla morale pubblica. L’opera fu così esposta, sebbene collocata in una sala appartata, e a fine esposizione venne riconosciuta come la migliore. Cessato l’incarico da sindaco, per Selvatico ebbe poi inizio la carriera parlamentare, mantenendo anche l’impegno come consigliere del Comune di Venezia. Eletto deputato nel 1897, seguì i temi a lui cari tra cui una legge per la laguna di Venezia, oltre alle successive Esposizioni d’arte. Morì improvvisamente il 21 agosto 1901, rientrato nella villa di famiglia a Roncade, dopo una agitata seduta del consiglio comunale di Venezia.

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