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Cooperativa sociale La Rosa Blu: da 45 anni a Chirignago

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Compleanno speciale per la realtà che da assistenza ai disabili per l’indipendenza, l’assistenza e il lavoro

«Il sociale è un mondo che pensa e realizza, è un ambito in cui siamo abituati a trovare le soluzioni, confrontandoci però quasi sempre con risorse scarse – spiega Marco Caputo, Presidente della Cooperativa sociale La Rosa Blu di Chirignago abbiamo compiuto 45 anni di attività e non abbiamo intenzione di fermarci, se abbiamo una sicurezza, nonostante le difficoltà di questo settore, è che ci saremo ancora a lungo e per molto tempo per tutte le persone fragili e con disabilità, per aiutare a inserirsi nella società ed essere il più autonomi possibile».

Una festa, quella della celebrazione di tutti questi anni di lavoro sul territorio, a cui il Comune di Venezia ha partecipato attivamente. «La Cooperativa non dimostra questi 45 anni – ha dichiarato l’Assessore Paola Mar – in cui è stata attenta a creare senso di comunità e offrire un plusvalore ai suoi ospiti, oltre alla Città e al territorio. Per questo la nostra collaborazione è reciproca e lo sarà sempre di più». Come ha fatto eco l’Assessore Simone Venturini: «Un anniversario straordinario per una cooperativa che lavora per l’inclusione delle persone con disabilità costruendo percorsi di autonomia mettendo a frutto le capacità di ciascuna persona».

 

La storia della Cooperativa Sociale La Rosa Blu di Chirignago

«La Cooperativa è nata nel 1979 – racconta il Presidente – un periodo storico in cui il sociale e il terzo settore erano in fortissimo fermento sui temi della presa in cura dei soggetti più fragili. La nostra realtà nasce su stimolo dell’associazione di genitoriForza di vivere”, per dare risposte all’integrazione dei propri figli disabili attraverso il lavoro, all’epoca a Mestre e dintorni non c’era nulla di tutto questo. Così ci siamo specializzati nell’attività di integrazione lavorativa di giovani con disabilità, all’inizio avevamo laboratori di falegnameria, ceramica e legatoria, oltre a partecipare a tavoli regionali e nazionali per la definizione delle prime leggi per dare risposte non solo a livello professionale ma anche assistenziale ed educativo».

«Negli anni 2000 abbiamo poi cambiato pelle – aggiunge – privilegiando l’assistenza con un centro diurno, per accogliere durante la giornata e svolgere attività, che oggi coinvolge 25 ospiti, fino ad aprire una comunità alloggio che oggi ospita 10-12 persone che ci vivono assistite. Ci impegniamo poi in progetti che puntano a sviluppare una maggiore autonomia possibile per i ragazzi disabili di circa 20 anni in uscita dalle scuole, insegnando loro la gestione di una casa fino ad attività lavorative da potervi svolgere all’interno, dall’assemblaggio alle lavorazioni artigianali per portarli potenzialmente all’inserimento lavorativo. Svolgiamo poi progetti per la comunità collaborando con scuole, associazioni, fondazioni e municipalità. Oggi siamo coinvolti anche in varie reti di associazioni per rendere questi ragazzi autonomi, come previsto dalle progettualità del “Dopo di Noi”. Ogni anno seguiamo in modo strutturale 50 persone con disabilità, coinvolgendone un centinaio tra volontari e partner».

Il territorio di Mestre e Venezia e il rapporto con la disabilità

«Nel veneziano possiamo affermare che siamo a un buon livello nei servizi di inclusione per disabili – spiega Caputo – ma ovviamente non è mai abbastanza quello che si potrebbe fare, le risorse a disposizione non permettono di fare innovazione, mettendo a rischio la sostenibilità delle proposte. I nostri enti pubblici hanno figure preparate capaci di collaborare, ma resta il tema della mancanza di fondi, in momento in cui le famiglie hanno eroso il proprio potere d’acquisto, si tratta un elemento da tenere monitorato per evitare che a fronte di bisogni sociali non si riescano a garantire i servizi, senza il supporto pubblico infatti realtà come la nostra farebbero fatica a sostenersi da sole».

«Per questo noi, che operiamo in convenzione con Comune e ULSS, cerchiamo anche bandi di finanziamento e ci prendiamo parte – aggiunge – anche se si tratta di una piccola parte progetti e contributi come 5×1000 e 8×1000 o finanziamenti di fondazioni bancarie, possono affiancarsi ai corrispettivi per i nostri servizi offerti dal pubblico. Bisogna farsi trovare pronti a un futuro che richiederà nuove forme di assistenza, spesso anticipate dalle famiglie stesse, dove il pubblico potrebbe lavorare su modelli diversi di intervento, ma è una scelta anche politica, che comporta mettere il sociale in cima alle priorità di intervento per una programmazione efficace. La sensazione è che spesso il nostro ambito sia sempre dietro ad altre voci di spesa, ma le nuove esigenze non si potranno affrontare con vecchi schemi».

La Rosa Blu, per una cultura di vera inclusione dei disabili

«Includere non è solo sinonimo di dare un lavoro – chiarisce il Presidente della Cooperativa Sociale – ma far sentire una persona con fragilità parte integrante della comunità. Significa gestire i suoi bisogni speciali, in una società che si modella, cambia e accoglie per dare veramente opportunità e pari diritti a tutti. Come si fa? Il lavoro è lo strumento più importate per chi può, ma non basta. Si passa dai servizi educativi al tema dell’abitare, ma bisogna avere la sensibilità di vedere e percepire questi bisogni. Di solito finché questi non ci toccano da vicino non li consideriamo, ma appena la vita mette davanti a questi temi se ne comprende davvero il significato, la profondità e la responsabilità della parola “inclusività”».

«Si tratta di un tema che è innanzitutto culturale, – conclude – è un qualcosa che viene delegato agli enti che se ne occupano, trascurandone il ruolo di miglioramento della società tutta che porta con sé. A scuola, nel mondo dell’impresa, nelle attività di tutti i giorni, è un concetto non trascurabile perché anche se fa parte della cultura e sensibilità individuale, è un tema collettivo. Anche se qualcuno resta sempre indietro o fuori fra gli ultimi, è la società che si deve occupare dell’inclusione riducendo questa soglia diesclusi”, c’è ancora tanto da fare ma sono fiducioso perché vedo nel sociale tanto impegno, anche se spesso è tarpato dalle limitazioni dei finanziamenti. Il nostro futuro come cooperativa sociale lo immagino in salita, ma davanti vedo almeno altri 45 anni, abbiamo una montagna da scalere, ma abbiamo buoni scarponi e testa fina, continueremo a esserci per gli altri e non potremmo fare diversamente».

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