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Corpi svelati, corpi velati: la mostra “Corpi moderni” a Venezia

Fino al 27 luglio, le Gallerie dell’Accademia ospitano la mostra “Corpi moderni”: un viaggio in tre atti tra arte, scienza e desiderio

«Se c’è una cosa che è sacra, questa è il corpo umano», scriveva il poeta statunitense Walt Whitman. Un concetto da sempre caro all’uomo, teso spasmodicamente verso l’eterna giovinezza. Nella prima età moderna, proprio come oggi, il corpo è oggetto di studi e cure maniacali per preservarlo dall’inevitabile decadimento. A raccontarlo è l’esposizione “Corpi Moderni”, ospitata dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia fino al 27 luglio. Novanta opere tra dipinti, sculture, disegni, libri, miniature, in gran parte raccolte da collezioni di tutto il mondo per essere presentate per la prima volta in Italia. La mostra, allestita in collaborazione con Marsilio Arte e con il contributo della Regione del Veneto ed il main partner Intesa Sanpaolo, è un viaggio nel corpo umano in tre atti. «L’esposizione parla di noi attraverso la lente d’ingrandimento del Rinascimento», sottolineano i curatori Giulio Manieri Elia, Guido Beltramini e Francesca Borgo, «un’epoca in cui il corpo inizia ad essere svelato con l’indagine scientifica, ma anche velato, perché non è più solo un dato biologico, ma costruzione, un atto recitato».

Foto di Andrea Avezzù
Anatomia

Il primo capitolo, “Anatomia” si apre con l’ “Uomo vitruviano” di Leonardo da Vinci in cui insegue l’essenziale: «cosa sia l’essere umano, la sua armonia, le sue misure, l’algoritmo con cui la natura lo ha creato». Un disegno radicato nella vita che solo in apparenza risulta astratto e distante. L’opera, esposta dopo sei anni, è affiancata alla cruda realtà anatomica dell’ “Autoritratto a corpo nudo” di Albrecht Dürer in cui il protagonista è raffigurato «con un naturalismo senza compromessi». Sotto la pelle, c’è ancora un mondo da scoprire come svela il paesaggio tracciato da Leonardo nella sua “Great Lady” giunta dalla collezione reale inglese di Windsor. Nel 1435 Leon Battista Alberti scrive nel “De pictura” che per rappresentare bene un corpo bisogna conoscere come è fatto all’interno, nello scheletro e nei muscoli. Settantacinque anni più tardi la “Sibilla libica” di Michelangelo dimostra che gli artisti hanno vinto la sfida. Nello creazione della figura per la volta della Cappella Sistina, l’artista copia dal vero il corpo muscoloso di un modello maschile e lo trasforma in una figura femminile. Passa più volte dal generale al particolare, ripetendo mani, piedi, volto, per risolvere problemi di posa. Dal modello vivente riaffiora però la forza della tradizione: la schiena in torsione e la tensione dei muscoli sono quelli del celebre “Torso del Belvedere”.

Foto di Andrea Avezzù
Desiderio

Non c’è fisicità senza “Desiderio”. Nel secondo capitolo, gli occhi si posano sul corpo femminile, spogliato e adagiato nel paesaggio naturale, come la madre che allatta il figlio nella “Tempesta” di Giorgione. Venezia è una città di commerci e mercanti, abituati a valutare la qualità sensuale dei materiali, dai fruscii delle sete ai riflessi dei marmi, fino alle trasparenze di merletti e vetri. Non sorprende che siano proprio i pittori veneziani i primi a  riprodurre la morbidezza delle carni o la lucentezza dei capelli. «È uno sguardo desiderante connotato sempre al maschile», osservano i curatori, «anche quando l’oggetto diventa un uomo, con i corpi in piedi e non sdraiati dei san Sebastiano trafitti dalle frecce d’amore, per incarnare una nuova, ambivalente modalità di rappresentazione lirica, sensuale e anti-eroica». Nel “Ritratto di sposi con testimone” Tiziano concede addirittura all’amante di sfiorare il seno della compagna per suggellare il rito nuziale. Ma oltre l’immagine, il desiderio trapela senza filtri nei “Sonetti Lussuriosi” di Pietro Aretino, al limite tra erotismo e pornografia. Sentimenti indicibili per la donna rinascimentale simbolicamente racchiusa nella cuffia d’epoca del Metropolitan Museum of Art di New York.

Persona

Il corpo poi diventa architettura, campo di sperimentazione e rappresentazione culturale“Persona”. Vestiti, trattati di chirurgia, accessori di cosmesi e cura del corpo testimoniano la necessità dell’uomo e della donna rinascimentali di aderire a modelli sociali che si riflettessero anche nella loro raffigurazione. Dal Kunsthistorisches Museum di Vienna arriva un rarissimo scrigno del XVI secolo: una sorta di contemporanea make-up box con specchi, profumi e oggetti della cura di sé. Ma quando trucco ed esercizio fisico non bastano a camuffare una mancanza, armature e protesi meccaniche sostituiscono arti perduti o imperfetti. Sono repliche esatte a cui si chiede di ricostruire un’immagine di sé, necessaria per vivere e lavorare in società senza vergogna. «A ciascuno la propria maschera» si legge sul dipinto “Coperta di ritratto con maschera e grottesche” di Ridolfo del Ghirlandaio dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze. Così il cortigiano descritto da Baldassarre Castiglione è un uomo capace di proiettare all’esterno un’immagine meticolosamente costruita, per il modo di vestirsi, muoversi, atteggiarsi. Eppure, nulla è sufficiente per sfuggire a capelli bianchi e pelle avvizzita. La vita scorre, trasforma, cancella e conserva tracce. E la “Vecchia” di Giorgione sembra farsi simbolo proprio di questa condanna: «col tempo» questo sarà l’unico risultato possibile.

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