
Ventimila telefonate da quando il servizio, sei mesi fa, è stato attivato nella Casa circondariale di Santa Maria Maggiore; 5.500 al mese e 300 al giorno, gestite in due turni giornalieri di quattro ore ciascuno. Sono i numeri del sistema di prenotazioni Cup dell’Ulss 3 Serenissima che oggi può contare su 3 assunzioni in più rispetto alle 6 iniziali, arrivando a coinvolgere 9 ristretti selezionati tra i circa 270 detenuti della struttura veneziana. Tutti italiani, fra i 25 e i 45 anni, molti di loro laureati e con competenze informatiche utili a condurre la propria mansione. Lavoratori con regolare contratto, retribuiti, che via via vengono inquadrati a tempo indeterminato. E uno di loro è stato promosso, ritrovandosi a portare avanti la propria mansione all’esterno, all’ospedale all’Angelo. Il bilancio di questi primi mesi è stato fatto lunedì, nella giornata dedicata a San Basilide, protettore della polizia penitenziaria, annunciando una novità: l’inaugurazione di una seconda stanza, sempre all’interno del carcere e benedetta dal Patriarca Francesco, a potenziamento del servizio.
«Dio, Colui che dà un’opportunità nuova all’uomo. Le carceri devono essere – le parole di mons. Moraglia, che ha guidato un momento di raccoglimento in preghiera nel cortile – un luogo di recupero. Il che significa condivisione di un cammino, anche se difficile e anche se non tutti i soggetti sono disposti a farlo». «Il periodo detentivo – ha detto il direttore generale dell’Ulss 3, Edgardo Contato – deve porre l’individuo in sintonia col mondo, pronto ad accoglierlo fuori. Da 6 a 9 lavoratori e vedremo se ci sarà bisogno di andare oltre». Fabio Panizzon, presidente del Consorzio “Cento orizzonti”, realtà che si è aggiudicata l’appalto, con la Cooperativa “Noigroup” incaricata di gestire proprio “la partita” del carcere, ha sottolineato come l’indice di gradimento dei cittadini verso il servizio sia alto, tanto che non sono mai arrivate segnalazioni dall’Urp. «Per il primo gruppo da 6 persone, assunte in Cooperativa, – ha chiarito, ponendo l’accento sul grosso lavoro di squadra che è stato fatto – abbiamo iniziato con un’attività formativa. Da questa prima esperienza è nata anche la possibilità di operare nelle attività del Cup all’esterno: nel momento in cui vengono presi accordi con l’istituzione penitenziaria, i lavoratori hanno modo di uscire. Stiamo tra l’altro lavorando per posizioni diverse per chi la propria pena l’ha scontata». Se da un lato il Patriarca ha accennato al recupero, prossimamente, della Casa Mons. Vianello a Campalto che, una volta ultimati i lavori di restauro, potrà «accogliere una decina di uomini» che stanno attraversando il periodo di transizione dal carcere alla vita libera, dall’altro il direttore della struttura detentiva veneziana, Enrico Farina, ha ricordato come a Santa Maria Maggiore dovrebbero essere gestiti 160 detenuti, ma «attualmente sono in media 275. Avere a che fare con l’utenza? Richiede – ha osservato Farina – capacità comunicative: i risultati sono stati straordinari. La nostra area educativa ha selezionato quei detenuti con le caratteristiche adatte a poter svolgere questo tipo di servizio».
I ristretti si occupano principalmente delle telefonate relative agli esami di laboratorio. «Non tutti sono pronti a svolgere tali attività. Oltre al cosiddetti lavori “domestici”, connessi alla gestione dell’istituto, abbiamo analizzato i bisogni del territorio, individuando tre aree: manutenzione edile, ristorazione e servizi alberghieri, e competenze comunicative, proprio come nel caso del Cup. Grazie al finanziamento di un’associazione, stiamo tra l’altro cercando di avviare l’apertura di un forno. Quotidianamente ricevo telefonate di imprenditori che mi chiedono se qui ci sono ragazzi con determinate caratteristiche, a cui assegnare una professione». Una novantina i ristretti coinvolti quest’anno nelle varie opportunità lavorative. «Lo svuotamento delle carceri? Può avvenire – ha proseguito Farina – anche grazie a questi processi di reinserimento graduale». «Quando finiamo il turno – il commento di uno degli operatori del Cup – abbiamo l’entusiasmo di esserci impegnati in qualcosa di utile». «Quando lavoriamo – gli fa eco un collega – ci sembra di essere fuori dal carcere e di avere una possibilità di riscatto che non possiamo perdere». E la sinergia fra Santa Maria Maggiore e Ulss 3 non è l’unica che è stata messa in campo a favore di un graduale ritorno alla normalità dei ristretti: un’altra, quella presentata mercoledì, a Sant’Apollonia, tra Casa circondariale veneziana e Procuratoria di San Marco (leggi qui).
In queste giornate di caldo torrido, il pensiero non può non andare alla situazione nelle celle. Il cappellano del carcere maschile veneziano, don Massimo Cadamuro, presente lunedì a Santa Maria Maggiore, spiega di aver chiesto alla Mof (chi si occupa della manutenzione ordinaria del fabbricato) di ottenere «una mappatura dei bisogni, ossia di quanti ventilatori servono. I detenuti – afferma il sacerdote, che ha preso in mano il testimone del compianto don Antonio Biancotto – li tengono accesi praticamente tutto il giorno, col risultato che molti si guastano. Appena ci arriverà conferma, effettueremo un ordine: ci sarebbe bisogno di una cinquantina di nuovi ventilatori». Don Cadamuro riferisce che la situazione è piuttosto pesante soprattutto al terzo piano, «con il sole che batte tutto il giorno. I ventilatori sono comunque presenti in ogni cella, – dice – ma stiamo cercando di provvedere a sostituire quelli che non funzionano più». Poi l’annuncio di un’iniziativa a cui sta lavorando: nell’anno giubilare in corso, l’organizzazione di un pellegrinaggio a piedi, da Terni a Roma, assieme ad alcuni ristretti.
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