Intendiamoci subito: stiamo parlando di Benjamin Spock, pediatra nato nel 1903 e morto nel 1998, non certo del signor Spock, il vulcaniano dalle orecchie a punta, dell’Enterprise di Star Trek. Il nostro dottor Spock scrisse il suo “Common sense book of baby and child care” nel 1946, nel tentativo di demedicalizzare (già allora!) la cura e l’educazione dei bambini in un’ottica meno rigida e un po’ più permissiva per i tempi di allora.
Il dottor Google nasce invece nel 1997, diventa popolare qualche anno dopo e in una decina d’anni comincia a fare danni irreparabili nei confronti di quello che il povero dottor Benjamin era riuscito a costruire.
Decenni all’insegna del “Fidati di stessa, ne sai più di quanto pensi” demoliti dalla possibilità di avere una risposta, quasi sempre sbagliata, attraverso uno schermo e una tastiera, a domande che non dovrebbero esserci. “Quanto più si sono studiati metodi diversi di allevare bambini, tanto più si è arrivati alla conclusione che ciò che buone madri e buoni padri si sentono istintivamente portati a fare per i loro piccoli è, in fin dei conti, la cosa migliore”.
Povero Benjamin: quando scrivevi queste cose, che sembrano ovvie e che sono il mantra di qualsiasi pediatra, almeno di quelli che hanno qualche anno, facevi la rivoluzione, ma queste stesse cose oggigiorno vengono viste quasi con orrore. Sono i cicli della storia.
Oggi tutto deve essere codificato, su tutto ci deve essere il controllo e tutto deve essere prevedibile. Peccato che il lattante non lo sappia e continui a fare gli affari suoi: piangere, ridere, parlottare, dormire, arrabbiarsi, assolutamente a caso. Oppure magari un motivo c’è, ma a noi non lo dice. Oppure, come ho sempre pensato, lo fa apposta…
È vero l’età media della maternità e della paternità è aumentata, così come quella delle nonne, che non sono più le depositarie di una saggezza ancestrale, ma diventano esse stesse fonte di ansia. Però l’istinto materno è sempre lì: se la mamma fa la prima cosa che le viene da fare, senza pensarci, non sbaglia mai. Nel momento in cui pensa, invece, viene assalita da mille dubbi e cerca una risposta. E la risposta deve essere rapida e immediata: guarda caso ha in mano il telefonino, e via con Google. Ma la risposta era sbagliata e, il telefonino è ancora in mano, si chiama il/la pediatra, con cui si vorrebbe discutere, magari immediatamente, della possibilità che si tratti della rarissima Sindrome di XYZ.
L’unico argine sembra essere, a questo punto, la prima legge della pediatria: “Il bambino malato sembra malato. Se non sembra malato, quasi sicuramente non lo è”. Ma qui si torna alla malattia e noi invece stiamo parlando di un bambino felice e contento…
Quindi: fare i genitori è più semplice di quello che si pensa, ma bisogna accettare l’enorme carico di responsabilità che questo comporta. E sono responsabilità che non si possono delegare a nessuno, Google compreso.
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