Palazzo Ducale ha deciso di raccontare i suoi dogi attraverso storie e curiosità. L’Appartamento del Doge a Palazzo Ducale a Venezia, precedentemente sede di mostre temporanee, è tornato a far parte del percorso espositivo con un nuovo allestimento ricco di opere mai esposte prima, a cura di Valeria Cafà e Daniele D’Anza, con il coordinamento scientifico di Chiara Squarcina, pensato per raccontare l’ultra millenaria storia di quella che è stata una delle figure istituzionali più solide e longeve di Venezia. L’Appartamento del Doge era il cuore più riservato del Ducale. Racchiudeva spazi di rappresentanza preclusi ai più, riservati a riunioni e udienze ristrette. L’aspetto attuale rinascimentale dell’appartamento risale alla fine del XVI secolo. Il nuovo allestimento intende presentare al pubblico la figura del doge. La Serenissima nel corso dei secoli ne elesse ben 120, a cominciare da Paoluccio Anafesto, nel 697. Il doge – dal latino dux, comandante militare di origine bizantina – è raccontato nel percorso attraverso un centinaio di dipinti e sculture, ma anche manufatti, mappe, testi manoscritti e a stampa, promissioni ecommissioni ducali, medaglie e monete.
Si tratta di opere principalmente mai esposte al pubblico del patrimonio della Fondazione Muve che raccontano i momenti salienti della storia dell’istituzione dogale. Nelle 12 sale del percorso espositivo viene dato rilievo ai grandi avvenimenti ma anche ad aneddoti e vicende minori, alla rigida etichetta cerimoniale, comprese storie private e pubbliche, tradizioni, feste e cerimonie che, nell’insieme, presentano a tutto tondo la figura del doge, a volte dando anche letture insolite. Oltre ad opere di manifattura locale e di pittori veneti non identificati, nel percorso figurano anche opere di Palma il Giovane, Vicentino, Schiavone, Canaletto e Brustolon.
Tante le curiosità e gli approfondimenti, anche lessicali. Si pensi ad esempio che i termini “broglio” e “ballottaggio” hanno un’origine tutta veneziana, legata proprio al procedimento per l’elezione del doge. Broglio sembrerebbe derivare dal termine “brolo”, ovvero orto, giardino: era qui infatti che i nobili veneziani si ritrovavano per ragionare e accordarsi segretamente sul nome del futuro doge. Ballottaggio deriva invece da “ballotta”, ossia la pallina che veniva utilizzata durante le elezioni. Il termine poi passò nel sistema elettorale americano, “ballot”, e francese, “ballottage”, perché Venezia era considerata un modello per le nascenti repubbliche.
Nella prima sala sono presentati gli strumenti, il metodo e i simboli usati per l’elezione del doge, cui si accompagnano alcuni aneddoti, come il più lungo conclave, e le tradizionali cerimonie di incoronazione. A seguire, in Sala Grimani, si affronta il tema della diplomazia e dei rapporti internazionali, essenziali alla salvaguardia e prosperità di Venezia. Si prosegue con la narrazione della figura di Sebastiano Venier,fondamentale nella battaglia di Lepanto, e di quella di Francesco Erizzo conosciuto per l’inizio della guerra di Candia. Nella Sala degli Stucchi poi, ad essere protagonista del racconto è la famosa cospirazione di Baiamonte Tiepolo, causa dell’istituzione del potentissimo Consiglio dei Dieci, organo nato dalla necessità di prevenire ribellioni e attentati contro lo Stato. Nelle sale successive viene presentata la figura del doge come committente e patrono delle arti e vengono indagati gli aspetti più mondani e principeschi della sua vita, tra cui: il rapporto con la dogaressa, le feste e le cerimonie che scandivano il calendario della Serenissima. A seguire si affronta il tema degli abiti del doge e della dogaressa nei secoli, che in modo eloquente danno conto dell’origine bizantina dell’istituzione dogale e della trasformazione del doge in “Serenissimo Principe”. Anche la morte del doge sottostà ad una rigida etichetta. Il percorso si chiude con una sala che illustra le vicende degli ultimi dogi e un focus sull’ultimo doge Ludovico Manin, la cui abdicazione nel 1797 corrisponde alla caduta della Repubblica e alla fine della storia della Serenissima. <Il “Monsignor il doge”, così era appellato negli atti pubblici, è il simbolo e l’incarnazione della potenza veneziana. – sottolinea Chiara Squarcina, responsabile della sede museale. – Il suo reale potere, tuttavia, era limitato e controllato dall’aristocrazia mercantile veneziana, mentre la sua persona era sotto la costante vigilanza dei consiglieri ducali perché, pur essendo il “Serenissimo Principe”, egli era e rimaneva, a tutti gli effetti, il primo servitore della Repubblica>.
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