
È stato un lavoro di sottrazione quello attuato dall’artista Manuel Gualandi, che ha coraggiosamente deciso di confrontarsi con il celeberrimo dipinto della “Tempesta” di Giorgione. Sono una ventina, tra dipinti e disegni, le opere che compongono la mostra “Dentro la tempesta”, a cura di Daniele Capra, allestita fino al 7 luglio allo SPARC* – Spazio Arte Contemporanea in Campo Santo Stefano a Venezia. L’artista, riprendendo il dialogo con l’opera esposta nelle vicine Gallerie dell’Accademia, nel suo progetto è arrivato ad edulcorare il paesaggio e ad eliminare i personaggi presenti per ottenere così una visione nuova e libera dell’opera giorgionesca, arrivando ad impiegare grammatiche espressive differenti, che spaziano dall’informale all’astratto, fino al monocromo. Il pittore all’inizio ha lavorato sulla versione “stiracchiata” del dipinto, aumentando il formato originale del 30% per permettergli di eseguire un lavoro più gestuale e materico.
Se i primi cinque lavori sono stati eseguiti direttamente sulla riproduzione fotografica del dipinto, Gualandi è poi riuscito a liberarsi da questa, trovando uno sguardo nuovo e libero, lavorando in autonomia ed eseguendo un processo di scavo. «Avevo bisogno di ritrovare un mio paesaggio all’interno di quello di Giorgione. Trattandosi di una mia ricerca personale, e non di un lavoro che doveva essere esposto, ho sentito molta libertà» racconta l’artista. Man mano che Gualandi procede nella realizzazione dei dipinti, si libera della figura della donna e arriva ad astrarre il paesaggio privandolo dei canoni giorgioneschi e rendendolo suo. L’occhio dell’artista cancella così completamente l’immagine di partenza, lasciando solo pochi cenni riconducibili, edulcorando e cancellando le sovrastrutture che compongono la “Tempesta”. Nelle ultime creazioni il fulmine, tra gli elementi chiave dell’opera di Giorgione, scompare e il paesaggio e l’atmosfera si ammorbidiscono e acquietano. L’artista, lavorando durante tutto il processo creativo per sottrazione, arriva infine alla realizzazione di tre monocromi, che in mostra accolgono il visitatore nella prima stanza. Questi, mantenendo la gamma cromatica della “Tempesta”, sono una campionatura dei pigmenti principali che la caratterizzano: «Ho eseguito uno studio e una ricerca su come venivano realizzate le cromie all’epoca, e i colori che compongono i miei monocromi, pur essendo chimici, si avvicinano alle tecniche utilizzate da Giorgione. – continua l’artista – Sebbene le tinte usate da Giorgione erano realizzate con tecniche del ‘500, oggi inarrivabili e irriproducibili, mi interessava la brillantezza dei colori, che ho cercato di restituire» spiega Gualandi. I monocromi realizzati dall’artista presentano quindi assonanze che rimandano all’opera da cui è partito, lasciando intuire la sensazione del fogliame, della terra, degli elementi dell’acqua e del cielo che si trovano nel quadro.
Gualandi negli anni ebbe modo di osservare spesso da vicino la “Tempesta”, entrando a tu per tu con l’opera: «Ho avuto la fortuna di fare l’Accademia di Belle Arti quando ancora il laboratorio di pittura era ospitato negli spazi delle Gallerie. Mi diplomai nel ‘99 con il prof. Carlo Di Raco, ai primordi dell’Atelier F, come oggi è conosciuto. – racconta l’artista – Avevamo il museo sopra le nostre teste e con la tessera a nostra disposizione potevamo visitarlo quando volevamo. Questo collegamento con la pittura veneziana per me è stato fondamentale» dice, spiegando che poi ,una volta diplomato, ha intrapreso il suo percorso e all’innamoramento giovanile per la Tempesta non ci ha più pensato per molti anni. La svolta arriva nel periodo della pandemia, mentre nel suo atelier sta lavorando su dei quadri che avevano per tematica la raccolta di poesie di Zanzotto “Impressioni”, che erano molto legate al paesaggio Veneto. «Fu così che ritrovai nel mio sguardo e nelle mie riproduzioni la “Tempesta” di Giorgione, che nel mio studio emergeva come un archetipo del paesaggio Veneto». Raggiunta la maturità artistica e superato il timore reverenziale che da studente aveva nei confronti dell’opera, Gualandi iniziò a studiarla e ad interrogarsi sulla sua attualità: «Un tempo non avrei mai osato confrontarmi con l’opera, ma sentii che la Tempesta aveva un incredibile potenziale moderno e attuale».
Se il primo interesse dell’artista è stato di tipo atmosferico, successivamente il suo lavoro si è concentrato anche sulle figure: «Mi ha intrigato la relazione misteriosa tra l’uomo e la donna» dice, spiegando che per approcciarsi nuovamente all’opera ha letto le tante interpretazioni date dai critici, non trovandone però nessuna veramente soddisfacente. La relazione tra i corpi della donna e del soldato ha dato spazio a uno studio sui dettagli nei disegni: «Sebbene siano studi, li ho eseguiti successivamente al lavoro pittorico, pensando ci fosse ancora qualcosa da dire sui corpi. – spiega l’artista – Coperti gli abiti 500eschi del soldato, improvvisamente il dipinto si è attualizzato, cancellando quel rimando temporale. Questa nel lavoro è stata una scoperta, seppur banale, per me molto forte. La figura del nudo della donna emerge in vari livelli di intensità, mostrando la sua forte componente di eros» dice infine, sottolineando come la “Tempesta” non sia solo un paesaggio ma sia anche, e soprattutto, una condizione emotiva.
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