Sabato 21 settembre, al Centro “Card. G. Urbani” di Zelarino, si è tenuto l’incontro con don Claudio Burgio, da anni cappellano dell’Istituto Penale Minorile “Cesare Beccaria” di Milano e fondatore e presidente dell’associazione Kayrós, dedicata all’accoglienza e al reinserimento di giovani emarginati.
Invitato dalla Pastorale giovanile diocesana ad aprire il nuovo anno pastorale per i giovani, ha proposto la sua visione profondamente radicata in un principio fondamentale: “Noi nasciamo fondamentalmente buoni”.
«Ogni persona possiede una capacità innata di fare del bene», afferma don Claudio. «Tuttavia, la vita, l’ambiente circostante e la famiglia possono, a volte, contribuire a disorientare i ragazzi. Di conseguenza, i reati commessi in età adolescenziale spesso rappresentano solo la punta dell’iceberg di una sofferenza più profonda, che si manifesta attraverso malessere e devianza».
Nel corso della sua esperienza come prete ed educatore, don Claudio ha assistito a numerose storie di riscatto. «Moltissimi di questi ragazzi riescono poi a recuperare e a ritrovarsi», afferma. «Anche quelli che non riescono immediatamente, con il tempo in qualche modo evolvono». Per il sacerdote il percorso di rieducazione non è immediato né facile, ma occorre credere fermamente nella capacità di evoluzione e miglioramento di ciascun individuo.
Riflettendo sull’aumento del numero di minori nelle carceri, don Claudio esprime preoccupazione per il clima politico e culturale che esaspera le condotte degli adolescenti. «C’è una narrazione che tende a criminalizzare questi ragazzi, a vederli come “anormali”, medicalizzandoli e trattandoli come il problema».
Per lui, la crisi adolescenziale riflette piuttosto una sfida che interpella l’intera società: «Soprattutto noi adulti e le istituzioni, come la famiglia, la Chiesa e lo Stato, siamo chiamati a rispondere. La mancanza di modelli adulti credibili è parte del problema».
L’educazione, per don Claudio, richiede il coraggio di affrontare la realtà nella sua interezza, senza censure. «Anche fenomeni culturali moderni come il rap e la trap, spesso etichettati come espressioni deviate, rappresentano una finestra sul mondo emotivo dei ragazzi», spiega don Claudio. «Come educatori dobbiamo avere il coraggio di guardare facendo “epoché”, parola greca il cui significato di invita a riuscire a sospendere i giudizi mettendoci in un atteggiamento di ascolto».
Un aspetto fondamentale che ha imparato nei suoi anni di esperienza è la pazienza. «L’attesa non è mai qualcosa di rassegnato, ma è la cifra dell’uomo che vive dentro una temporalità», racconta. «Spesso c’è il bisogno di vedere risultati immediati, ma sappiamo che è necessario attendere che il “seme cresca”».
Don Claudio Burgio ha ricordato anche il suo primo giorno al carcere Beccaria di Milano: «Fu particolarmente traumatico; mi presentai ad un ragazzo chiedendogli il nome, e il giovane rispose con un brusco “c… miei”», afferma sorridendo. «Questa risposta mi colpì, ma nei giorni successivi il ragazzo tornò da me per spiegarsi e scusarsi, dicendo che non era interessato se fossi un prete o il nuovo cappellano. Voleva solo capire se fossi davvero parte della sua storia».
Questo episodio ha insegnato a don Claudio un’importante lezione: spesso, la costruzione di un rapporto con i ragazzi richiede tempo e pazienza. «Il ragazzo voleva capire se ero disposto ad ascoltarlo davvero», riflette. «Questa attitudine all’ascolto e alla pazienza è al centro dell’approccio educativo».
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