
«Sono felice, provo gioia e serenità. E questo perché, pur nella mia fragilità, so che davanti a me c’è Gesù. È lui che mi precede e che mi sostiene». La voce di Rafael Arias Mejía, 27 anni, prossimo sacerdote per la Chiesa di Venezia – sarà ordinato sabato 28 giugno in San Marco – trasmette questa sua tranquillità. È il compimento di un percorso partito da lontano, ma non così scontato come potrebbe sembrare guardando alla storia e all’esperienza della sua famiglia, dove gli esempi di chi ha offerto la propria vita al Signore non sono mancati, a partire proprio dai suoi genitori. «Ma io – dice – non pensavo di diventare sacerdote. È vero però che il punto di partenza è stata la famiglia molto particolare: la considero una grazia e sono sempre più colpito delle meraviglie che Dio ha fatto nella mia famiglia». Originario della Colombia, nato a Bogotà, all’età di due anni inizia a girare per il Paese al seguito dei genitori, papà medico e mamma assistente sociale. «Avevamo una vita comoda – racconta – ma nel 2000 i miei hanno deciso di andare in missione, in risposta all’esperienza che stavano facendo nel Cammino neocatecumenale, nel quale avevano maturato la loro fede». I figli in totale sono otto e oggi il più grande ha 33 anni mentre il più piccolo 19. E tutti oggi vivono, in forme diverse, la vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa: i due più grandi sono già sacerdoti, una sorella è monaca di clausura in Spagna, gli altri stanno frequentando il Seminario, mentre Rafael (che è il quarto dei fratelli) sta per essere ordinato sacerdote. L’infanzia per loro è al seguito della missione evangelizzatrice dei genitori: «Abbiamo girato vari posti della Colombia. I primi 7 anni siamo stati a Sogamoso, poi per un anno a Ubaté e infine a Zipaquirà (dove i genitori si trovano tuttora), nell’area centrale della Colombia, vicino a Bogotà. Per me – racconta – questi spostamenti erano la normalità, quella era la nostra vita, contrassegnata dalla disponibilità ad andare ovunque fossero inviati. Il primo cambiamento per me un po’ difficile è stato il trasferimento dopo 7 anni, ma alla fine non è stato qualcosa di traumatico. Magari c’è stata la frustrazione per quello che lasciavo, ma poi ho sempre trovato grande accoglienza nella Chiesa, grande generosità nelle persone. E capisci che più ti abbandoni a Lui più felice sei».
La vocazione di Rafael, in ogni caso, non matura in questi anni. Anzi: nell’adolescenza i pensieri e le aspirazioni si rivolgono altrove. «Alla fine delle superiori mi chiedevo cosa fare… Avrei voluto proseguire con l’istruzione universitaria, ma non era economicamente possibile. Lì ho capito che la mia vita era diversa dagli altri e ho iniziato sentirlo un po’ come un’ingiustizia. Mi chiedevo: ma perché se mio padre è medico non viviamo come dovrebbe essere la famiglia di un medico?». Rafael prova quindi ad entrare all’università pubblica, per studiare filologia presso il più importante ateneo della Colombia: «Ho fatto l’esame senza alcuna aspettativa, ma ho preso punteggio un molto alto. Così per un anno e mezzo ho frequentato l’università nazionale a Bogotà. Ho potuto vivere nella città dove ero nato, ma che non avevo mai conosciuto. È stata un’esperienza molto bella, anche se ho potuto vedere e toccare i problemi delle persone, la vita difficile, più cruda, anche di molti miei compagni».
Arrivano così le domande. «Avevo tutto quel che avevo desiderato, avevo anche una ragazza con cui stavo bene insieme. Avevo tutto quello che doveva darmi la felicità, invece ero in crisi, non vedevo una prospettiva, non vedevo un futuro. Mi chiedevo: perché sto studiando? Cosa ne verrà fuori? Perché sto con la mia ragazza? Non vedevo prospettive o speranze. Fin da bambino era sempre stata molto forte per me la questione della ricerca della felicità. Così mi chiedevo: cosa mi manca per essere felice? Vedevo i miei genitori, la loro vita molto diversa dagli altri eppure li vedevo molto più felici degli altri. Vedevo anche altre persone cresciute nella fede, amiche che avevano fatto una scelta di clausura. Quello che differenziava la loro vita era che ad un certo punto avevano dato la loro vita a Dio. E allora ho iniziato a chiedere: cosa vuoi da me Signore? Vediamo cosa fare. Non avevo mai pensavo di diventare prete, anche se a casa venivano a trovarci dei sacerdoti e io li vedevo come uomini felici, ma non mi ero mai posto la questione». E poi c’erano le scelte dei fratelli più grandi che avevano già deciso di dare la loro vita a Dio. «Mi hanno ispirato, ma sono state tutte vocazioni diverse. Ho ricordato però che da bambino avevo assistito a un’ordinazione sacerdotale e che mi aveva colpito». Inizia quindi un percorso di verifica vocazionale: «Mi sono detto vediamo cosa vuole Dio da me. Poi nel Cammino neocatecumenale viene chiesto se si è disposti a partire, ovunque nel mondo. E io senza pensarci due volte – stavo vivendo un periodo molto bello per me – ho detto di sì. La destinazione è stata il Seminario patriarcale di Venezia. Anche se tra quel sì e la partenza vera e propria ci è voluto un anno, a causa di varie questioni burocratiche: «Quel periodo è stato forse il più tosto per la mia fede. Avevo detto di sì, avevo lasciato l’università, la ragazza, ero pronto a partire. E invece ero fermo. Pensavo: Signore mi molli qua? Ma è stato importate aspettare, per capire la scelta, capire che la fede va al di là dell’emozione. Poi finalmente sono partito ed è stato come sentire che una promessa veniva portata a compimento. Ricordo sull’aereo, stavo dormendo e ad un certo punto mi sono svegliato: ho scostato la tendina e c’era un’alba spettacolare sull’Atlantico. L’oceano immenso con il sole che sorgeva e io mi sentivo molto piccolo, ma una voce diceva “questo è per te”: mi sentivo molto amato».
A Venezia Rafael compie il percorso di studi, inserendosi poi anche nella vita delle comunità parrocchiali. «Tra i sacerdoti che ho conosciuto e che per me è stato molto importante, c’è don Antonio Biancotto, di cui ricorre proprio in questo mese di giugno il primo anniversario della morte. Per me è un esempio di come spendersi instancabilmente per gli altri. Ma sono tanti i sacerdoti che hanno segnato la mia vita: sono quelli che annunciano l’amore di Dio perché le persone hanno bisogno di questo davanti al futuro incerto. Hanno bisogno della certezza che Gesù è con noi». In questi anni di studio c’è stata anche una prova molto dura per il giovane seminarista, colpito da una grave malattia: «Ho visto come Dio è presente in un modo molto speciale. Nessuno si aspetta una notizia del genere, tantomeno a 25 anni. È stato importante per mettere alla prova ciò per cui stavo scommettendo la mia vita, per capire se era vero fino in fondo. Prima della malattia alcune problematiche mi facevano paura: mi bloccavo pensando di annunciare l’amore Dio a tanta gente che soffre, che ha problemi più grandi, senza sapere cosa vuol dire. È stato un momento per mettere alla prova quello che ho letto nei libri. Nonostante la fatica delle terapie è stato bello trovare Dio in un modo più intimo, più personale, sentirlo presente. Davanti alle sofferenze non c’è la risposta, ma c’è Gesù che ti accompagna, che si fa carne nella Chiesa e nelle persone che ti stanno vicine. Ho avuto tante persone che mi hanno sostenuto e che pregavano per me. L’ho sentito anche nell’ordinazione diaconale e anche adesso, alla vigilia della mia ordinazione, tanta gente sta pregando per me: questo ti dà forza. Grazie a Dio le terapie sono andate bene, è stata una spinta a non avere paura. La paura della morte c’è, pur essendo un tema di cui non si parla. Ma se la fede dà una risposta alla morte, io mi sento in una squadra vincente».
Adesso don Rafael sta studiando a Roma, all’Università della Santa Croce, dove sta terminando il primo anno per la licenza in Teologia Morale. Quando torna in diocesi presta servizio nella parrocchia di San Nicolò di Mira, mentre in precedenza era stato anche al Lido e fa parte di una delle comunità neocatecumenali di Santa Maria Formosa. Dopo l’ordinazione lo aspetta ancora un anno a Roma, poi si vedrà. Ma sarà un sacerdote totalmente incardinato nella diocesi di Venezia, dove ritornerà al termine degli studi. Davanti a questo momento così importante per la sua vita, con tutta la sua famiglia che sarà presente per l’ordinazione (a parte la sorella monaca di clausura, con la quale tutti insieme vivranno successivamente una Messa in Spagna), Rafael riflette prendendo spunto dalle figure dei due santi romani Pietro e Paolo (che si festeggeranno il giorno dopo la sua ordinazione) e dalle parole di Papa Leone XIV: «La vita di questi due santi colpisce perché sono umani, soprattutto San Pietro lo vedo vicino, perché fragile, emotivo. La sua disponibilità sembra assoluta, ma viene fuori anche la sua fragilità. La risposta a Gesù risorto – “Signore tu lo sai, sai che ti voglio bene” – mi dà tanta fiducia. La mia fragilità rimane, però anche il mio voler bene a Gesù, alla Chiesa, e so che la grazia che viene da Dio mi sosterrà nel mio ministero». E ricordando la parola di Papa Leone davanti alla grandezza del suo ministero, non ha dubbi: «C’è la paura di assumere una missione più grande delle proprie forze, ma lo si fa, perché c’è Gesù che ci precede, Gesù che cammina avanti a te».
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