
Quest’anno l’associazione “Viviamo Venezia” per i mesi di marzo e aprile ha organizzato negli spazi della chiesa dell’Angelo Raffaele un ciclo di tre conferenze divulgative per i cittadini sulle strategie per ridurre l’impatto climatico. Nel primo incontro, tenutosi il 14 marzo, l’ingegnere Antonio De Lorenzi ha illustrato il livello attuale della ricerca sulla fusione termonucleare, un processo che ricaverebbe energia dalla fusione di nuclei atomici leggeri come il deuterio e il trizio (isotopi dell’idrogeno, cioè con stesso numero di protoni, ma diverso numero di neutroni).
Il nucleare utilizzato fino ad oggi, invece, si basa sul processo di fissione, cioè di scissione di nuclei atomici pesanti come quelli dell’uranio che, “spezzandosi”, produce bario e kripton. De Lorenzi per 40 anni è stato ricercatore presso il CNR nell’ambito dei progetti sulla fusione nucleare e ha apprezzato molto l’iniziativa dell’associazione. «“Viviamo Venezia” ha organizzato queste conferenze a fronte delle domande emerse alla fine dell’incontro dello scorso anno in cui ricercatori e docenti dell’Università di Padova hanno descritto le evidenze di un rapido peggioramento climatico», ha dichiarato in introduzione Corrado Claut, presidente dell’associazione.
In tutti i Paesi con uno sviluppo tecnologico avanzato è in corso la sperimentazione sulla fusione nucleare: in Europa, Cina, Giappone e Stati Uniti sono in funzione o in costruzione macchine con differenti dimensioni e prestazioni. In tali macchinari la temperatura estremamente elevata genera la “perdita” degli elettroni negli atomi del gas, generando così il plasma. Quando nel gas sono presenti deuterio e trizio, si innesca la reazione di fusione che provoca un grande rilascio di energia. Perché quindi non affrontare il tema come proposta da “Viviamo Venezia”?
«La partecipazione è stata buona e ci sono state varie domande – ha dichiarato De Lorenzi post conferenza – l’iniziativa di “Viviamo Venezia” va lodata perché per le persone è un’occasione per avere delle informazioni di prima mano da esperti dei vari settori, permettendo così che si formino delle opinioni su argomenti di interesse generale fondate sui fatti anziché, come purtroppo spesso accade, su delle “fake news”». E ha aggiunto: «Tuttavia, nel fare divulgazione, è bene che l’esperto si limiti al proprio ambito di competenza, evitando di indossare i panni del “tuttologo”, fornendo nel contempo indicazioni su dove e da chi reperire informazioni corrette e di prima mano: un atto di umiltà che sta alla base della buona scienza».
L’esperimento europeo che finora è andato più vicino al risultato sperato è stato il JET, nel Regno Unito, che nel 2023 ha prodotto una significativa quantità di energia da fusione, pur restando con un bilancio in negativo tra energia immessa per innescare il processo ed energia ottenuta. Ad oggi è in fase di realizzazione ITER, un progetto internazionale in cui sono coinvolti 35 Paesi senza esclusioni politiche o di altro genere: Unione Europea, Cina, India, Giappone, Corea, Russia e Stati Uniti collaborano per raggiungere l’ambizioso obiettivo di costruire il più grande reattore a fusione nucleare mai realizzato finora. «La ricerca è integrata e ogni esperimento è funzionale ad altri – dichiara De Lorenzi – ed è per questo che la cooperazione internazionale è di primaria importanza».
«L’Italia ha un ruolo fondamentale in questo progetto – spiega De Lorenzi – grazie alla partecipazione di laboratori che si occupano di ricerca sulla fusione nucleare e all’importante sostegno da parte di aziende italiane che hanno fornito alcune componenti fondamentali per la realizzazione di ITER, per un valore complessivo superiore al miliardo di euro. Il nostro consorzio RFX di Padova, per esempio, grazie a una cooperazione internazionale, ha quasi completato il prototipo in scala 1:1 dell’acceleratore di particelle neutre, cioè del macchinario che servirà a innescare le reazioni di fusione del plasma».
«Anche il progetto ITER è di tipo sperimentale e per la commercializzazione dell’energia prodotta dalla fusione bisognerà aspettare, verosimilmente, la fine del secolo – afferma De Lorenzi – chi dichiara che ciò sarà possibile già entro il 2030 o al più il 2040 lo fa, lecitamente, per ottenere un livello di attenzione tale da sperare di poter accedere a finanziamenti, soprattutto da capitali privati». Ci vorrà ancora tempo per poter utilizzare l’energia da fusione, ma, proiettandosi in là con i decenni, i ricercatori sono già in grado di dare un’idea di come potrebbe essere una centrale a fusione.
«Una centrale a fusione nucleare avrebbe una struttura di dimensioni simili a quelle di una centrale a fissione, quindi andrebbe a occupare un’area che va dai 2 ai 4 chilometri quadrati – spiega De Lorenzi – che non è tanto se pensiamo che per ottenere una quantità di energia paragonabile con energie rinnovabili come quella solare o eolica servirebbe un’area 100 volte più estesa. Inoltre, sempre in confronto alle rinnovabili, la produzione di energia non avrebbe le fluttuazioni dovute all’alternanza tra giorno e notte e delle stagioni e agli agenti atmosferici, ma sarebbe continuativa. Per quel che riguarda le scorie, difficili da smaltire nel caso della fissione, sarebbero di facile smaltimento nel caso della fusione perché in quantità ridotta. Le uniche scorie radioattive di questo processo, infatti, sono legate all’innesco della reazione tra i materiali. Inoltre non esiste alcun pericolo, per una centrale a fusione, di incorrere in incidenti come quelli avvenuti per le centrali a fissione».
Per quanto riguarda la sicurezza delle centrali, l’ingegnere rassicura anche su quelle che sfruttano la fissione: «Nuovi sistemi hanno già reso più sicure le centrali a fissione di ultima generazione, in modo da rendere i disastri come quelli di Chernobyl o Fukushima non più tecnicamente possibili».
Dati i numerosi vantaggi, la fusione nucleare sembrerebbe poter diventare un’importante fonte energetica, ma De Lorenzi frena gli entusiasmi: «Non sarà l’unica fonte energetica del futuro, ma una delle tante. Come ha spiegato in maniera più approfondita la collega dott.ssa Bustreo nella seconda conferenza, occorrerà valutare quale sarà il giusto mix energetico».
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