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Giovanni Cucco: «Il mosaico, la mia passione»

Ad 82 anni il maestro mosaicista, tra i pochi rimasti in città a conoscere l’arte del restauro musivo, continua a lavorare instancabilmente

Ci sono passioni che nascono inaspettatamente e si rafforzano man mano che matura l’esperienza. Così è stato per l’82enne Giovanni Cucco, maestro mosaicista che vanta un’enorme competenza nel campo del restauro musivo dopo esser stato per quasi trent’anni direttore del laboratorio di mosaico della Basilica di San Marco a Venezia. Nato nel 1941 a Bovolone, in provincia di Verona, l’incontro con l’arte musiva fu per lui amore prima vista, fin da quando nel 1958, ancora bambino, il suo sguardo si posò sui mosaici di Galla Placidia e Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna. Un colpo di fulmine che trovò conferma quando successivamente si recò a visitare i mosaici della Basilica di San Marco: «Se prima il mosaico mi entusiasmava e incuriosiva, è proprio a San Marco che capii che sarebbe stato la mia strada» confessa Cucco. Così, dopo aver frequentato la scuola di disegno applicata alle arti e ai mestieri del suo paese natale, a vent’anni, mentre svolge il servizio militare a Udine, decide di frequentare la Scuola di Mosaico dove impara la tecnica musiva. Tornato a Bovolone, gli venne affidata per dieci anni la cattedra di disegno nella scuola in cui si era diplomato: «In quel periodo iniziai ai lavorare un mobile intarsiato a mosaico, ma non sapevo come fare per restaurarlo, così nel ‘68 decisi di andare a Venezia per frequentare la Scuola di restauro musivo che c’era a San Lio e che nel chiostro di Sant’Apollonia aveva il laboratorio».

Il lavoro in Basilica a San Marco

Un percorso fruttuoso che gli aprì le porte di San Marco: «Quando terminai la scuola il primo procuratore di San Marco di allora, il prof. Eugenio Bacchion, intravedendo il mio talento, mi fece entrare subito a lavorare a San Marco. – ricorda con soddisfazione Cucco – Il 2 agosto del 1971 presi servizio come maestro mosaicista e dopo poco divenni direttore del laboratorio di mosaico per ventisette anni». Il lavoro di cantiere era impegnativo ma gratificante: «Ogni giorno salivo sulle impalcature e controllavo lo stato dell’apparato musivo. Quando c’era bisogno si interveniva sulle parti più delicate staccando porzioni intere di mosaico, si pulivano e restauravano con consolidanti per poi riapplicarle» ricorda. Anni, quelli in Basilica, di cui conserva ricordi indelebili: «Lavorare a San Marco era il mio sogno, quando me lo proposero ne fui molto felice e rifiutai di andare a lavorare a Ravenna. Mi piaceva molto lavorare sulle impalcature, trovarmi a tu per tu con i mosaici bizantini e poterli toccare con mano. Era per me come tornare indietro nel tempo, nel periodo in cui sono stati creati».

Tanti altri interventi

L’incarico in Basilica è stato per lui il biglietto da visita che gli ha permesso poi di svolgere importanti lavori. Durante la sua carriera ha restaurato per l’Albert Museum di Londra il Monumento funebre del marito della Regina Vittoria. A Napoli ha invece restaurato il mosaico nel Battistero di Santa Restituta e a Marina della Lobra i Ninfei di Giulio Cesare. Molto tempo poi lo passò tra Torcello e Murano per il Comitato Save Venice. Nell’80 intraprese infatti i restauri ai mosaici della Basilica di Santa Maria Assunta di Torcello: «San Marco mi dava ogni anno sei mesi di permesso per lavorare lì. La prima volta portai avanti il lavoro per sei anni. Restaurai tutto: l’abside centrale, il mosaico della Madonna Odigitria, quelli degli apostoli e del Diaconicon» dice, ricordando che proprio per questo restauro nell’84 gli venne assegnato il Premio Torta. Mosaici su cui poi tornò a lavorare per altri due anni nel 2018. Nel 2012 è stato poi chiamato per restaurare il mosaico pavimentale della Basilica di San Donato a Muranoconclusosi nel 2019, chiesa in cui pochi mesi fa ha concluso anche il restauro del mosaico della Madonna nell’apside centrale. Ora invece è nuovamente all’opera a Torcello, questa volta però sul pavimento dell’apside dove non aveva mai lavorato e su cui, essendo molto degradato, servirà un intervento mirato: «Sono contento di continuare a lavorare, ad aiutarmi ci sono delle ragazze neolaureate con tanta voglia di fare». L’intervento più bello?: «Quello del 2016, quando ho restaurato la testa del personaggio biblico di Giuseppe che si trovava nel nartece della Basilica di San Marco, dove ne viene raccontata la storia. La porzione di mosaico, ora conservata al Museo della Scuola Grande di San Marco, scomparve per anni perché fu staccata nel 1820 dall’allora direttore del laboratorio di San Marco che, dopo averne fatta una copia, diede l’originale in regalo a suor Filomena, la quale per undici lustri tenne la porzione di mosaico nella sua stanza che si trovava all’Ospedale Civile».

Non solo restauro

Oltre al restauro, molti sono stati i lavori di Cucco in giro per il mondo: «A Sant’Apollonia avevamo un laboratorio e quando terminavo il lavoro in Basilica andavo lì per realizzare mie opere in mosaico». Lì Cucco ha creato importanti lavori, tra cui parte di un mosaico realizzato per New York in cui venivano rappresentate le nove religioni più importanti al mondo. Il mese scorso ha invece realizzato per la ditta Unisve una targa musiva in memoria dell’architetto Giorgio Forcellini Merlo che nel 2018 decise di affittare i suoi spazi alla ditta anziché ad attività di tipo turistico commerciali (leggi qui). Inoltre, dal 2002 al 2004 ha lavorato in Grecia per formare due scuole di mosaico sull’arte bizantina e tutt’ora insegna in città alla Scuola di mosaico che, non rilasciando competenze nel campo del restauro, è dedicata a chi vuol approfondire la tecnica artigiana per diletto e passione. «È dal ‘73 che manca una scuola di mosaico in città che insegni l’arte bizantina e le tecniche di restauro. Ce n’è estremamente bisogno, oggi mancano ragazzi preparati. – sottolinea – Il mosaico per me è gioia, colore e amore. Mi diverto molto ad insegnare, spero che a Venezia torni una scuola di mosaico professionale pavimentale, parietale e di arte bizantina. Io sono pronto per tramandare ciò che ho imparato».

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