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I Sami, il popolo nascosto raccontato da Tamborra

“I nascosti” è il libro con cui la fotoreporter Valentina Tamborra racconta dell’ultimo popolo nomade d’Europa, tra tradizione, innovazione e cambiamento climatico

Ridotti a poco più di ottantamila anime, i Sami sono l’ultimo popolo indigeno d’Europa. Dediti all’allevamento delle renne, sono ancora oggi principalmente nomadi, sempre in cammino tra Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia. Spesso chiamati Lapponi, termine per loro percepito però come un insulto, sono un popolo di pastori che non possiede terre, ma che ha molto da raccontare. Proprio della loro storia si è occupata la fotografa e giornalista Valentina Tamborra (Milano, 1983) nel suo ultimo reportage fotografico e narrativo che ha dato vita al libro “I Nascosti”, edito da Minimum Fax, presentato martedì 18 all’Università Ca’ Foscari di Venezia nell’incontro “Writers in conversation”, in compagnia della giornalista del sole 24 Ore Lara Ricci. Valentina Tamborra ha vissuto per quattro anni a tu per tu con il popolo Sami, riuscendo a conoscere le loro abitudini, seguendo con loro la transumanza delle renne e partecipando ai loro riti. «Quando sono arrivata oltre il Circolo Polare Artico, nel Finnmark, ho trovato un popolo fiero delle sue origini e profondamente legato ai ritmi della natura» dice Tamborra, che nel libro racconta in prima persona le avventure vissute. «Ho voluto dare voce a chi per molto tempo non l’ha avuta. Vengo anche io da un confine, quello tra Italia e Slovenia, e ho imparato ben presto cosa significa stare ai margini».

Una visione inedita del mondo Sami e dei suoi riti sciamanici

“Quello che è stato nascosto resterà nascosto, ma resterà ugualmente figlio di Dio”. Così recita la Genesi riscritta secondo i Sami che, vittime della cristianizzazione e dei nazionalismi, privati della lingua, delle loro divinità, ma anche di tradizioni e riti sciamanici, hanno cercato un modo per far continuare ad esistere tutto questo. Il titolo del libro, “I nascosti” appunto, prende spunto proprio da questo, ma vuole essere anche una dedica a tutti quelli che vivono ai margini. Nel suo viaggio Valentina, entrando in contatto diretto e sincero con questo popolo, ha avuto accesso a momenti intimi e ad eventi che ai più sono negati, come i riti sciamanici documentati con foto inedite. «Nel primo viaggio quando toccavo il tema della religione mi rispondevano che erano cristiani senza aggiungere altro. Quando sono arrivata nei primi approcci mi guardavano con sospetto. Ma le volte successive mi dissero “Abbiamo creduto in te perché sei tornata” e questo ha consentito l’avvicinamento, tanto da farmi sentire parte di un gruppo» dice, raccontando che ha avuto la possibilità di partecipare al rito sciamanico del Nyssetogge che si compie nella notte di Capodanno. «Preparano costumi di maschere demoniache assemblando corna, pelli, alghe e vecchi abiti. Fanno una lunga processione sul ghiaccio che raggiunge il suo culmine nella danza attorno al fuoco sacro, dove bruciano le maschere. – spiega – Per partecipare dovetti travestirmi anche io». Altro momento importante è il Sami Easter Festival che si svolge nel periodo della Pasqua, ma che è legato ai ritmi della natura: «Verso aprile le renne si spostano dai pascoli alti a quelli bassi per poter partorire e quando si fermano lo fanno anche i Sami. È in questa occasione che celebrano matrimoni, battesimi e comunioni. È un evento comunitario che richiama Sami da ogni parte».

Tra tradizione e modernità

 Valentina durante i sui viaggi, entrando in confidenza con i Sami, ha potuto constatare le conquiste e i problemi di questo popolo. Lì uomini e donne vivono in modo paritario e da poco è stata reintrodotta nelle scuole la lingua Sami, dopo che era stata vietata e si stava andando perdendo. Grande piaga è però l’alcolismo e l’alto tasso di suicidi, almeno uno per famiglia, di ragazzi sempre più giovani. «Al contrario di quanto si pensi questo non è dovuto a quella che viene chiamata la “solitudine artica”. La notte artica per loro è stagione colorata e di pienezza» racconta la fotoreporter. Poi spiega come i Sami usino le nuove tecnologie per cercare di perseguire il loro stile di vita. «In passato la transumanza avveniva con slitte trainate da renne, oggi invece avviene con elicotteri, motoslitte e quad. Se una volta si smontavano e rimontavano i lavvo, come chiamano le tende, oggi al loro posto ci sono le cabine: casette sparse nei millenari sentieri di transumanza». Una delle cose che resta immutata è la marchiatura delle renne, che avviene a coltello in estate: «Ogni famiglia ha un proprio simbolo. – spiega Valentina – Cosa interessante è però che questi sono registrati su una app per una più facile identificazione in caso di necessità. – e prosegue la fotoreporter – Il capobranco di ogni renna poi ha un gps con cui si monitorano gli spostamenti: se prima il Sami non si poteva mai distrarre e doveva muoversi costantemente ora lo fa con più agio. Buffo poi è il compito della polizia delle renne che, oltre a controllare che non ci siano furti di bestiame, in caso di incidenti compila costatazioni amichevoli tra renne e macchine».

L’allarme del cambiamento climatico

Se c’è una cosa che i Sami devono ormai fronteggiare e di cui Valentina è stata testimone diretta è il cambiamento climatico, nuovo ostacolo per abitudini e tradizioni. «Ormai in pieno inverno piove, la neve viene ricoperta dal ghiaccio e le renne non riescono più a scavare nel terreno per brucare. – continua Valentina – Ho visto il cambiamento in atto. Nel primo viaggio sono stata nella Tundra, ho dormito nelle cabine e ho fatto la transumanza seguendo con i Sami le renne. Il terzo anno invece ho visto molti amici Sami portare da mangiare alle renne. Alcuni addirittura hanno costruito recinti risparmiandosi di andare fino nella tundra per nutrirle. Per via del cambiamento climatico si stanno avviando al semi nomadismo e alla stanzialità». Poi racconta un grande spavento preso proprio a causa dell’innalzamento delle temperature: «Mentre stavamo attraversando la Tundra durante la transumanza delle renne, il ghiaccio improvvisamente si è rotto sotto di noi. Siamo riusciti a passare ma la slitta è precipitata nella voragine. Il ghiaccio continuava a rompersi e noi non riuscivamo a tirarla fuori. Abbiamo rischiato il congelamento». Un episodio a dir poco esplicativo: «I Sami conoscono le “strade del ghiaccio” come le proprie tasche, che accada una cosa così nei passaggi che loro solitamente sanno di poter attraversare è preoccupante. Improvvisamente i luoghi diventano instabili e le persone ci muoiono».

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