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I soldati russi non sono criminali, ma giocattoli

guerra
Alla Mostra del Cinema la riflessione sul tema della guerra all’Est con due produzioni fuori concorso: la regista russa Trofimova racconta di militari spesso ignari di cosa succede e del perché combattono, mentre la regista ucraina Zhurba mostra l’angoscia della popolazione civile

Sembra un film, una grande finzione, invece non lo è. Tutte quelle immagini di sofferenza, di feriti e morti dal fronte e di civili in fuga sono tremendamente vere. Subito ci si domanda come sia possibile che mentre i soldati, non troppo distanti dalla nostra realtà, affrontano ancora oggi bombe e mitra, noi assistiamo al macabro “spettacolo” sulle comode poltrone di una sala della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica. Due sono infatti i documentari sul conflitto tra Russia e Ucraina, iniziato il 24 febbraio 2022, presentati fuori concorso alla Mostra del Cinema, che mostrano senza filtri quello che avviene da entrambe le parti.

Soldati spesso ignari

Nel documentario “Russians at War”, la regista Russo-canadese Anastasia Trofimova, intrepida,  decide di raggiungere al fronte un soldato conosciuto in congedo per cogliere dal punto di vista umano come questi vivono e percepiscono la guerra. Senza alcuna autorizzazione o permesso ufficiale si insedia nell’arco di un anno in un battaglione che si fa strada attraverso l’Ucraina orientale, ottenendo una visione senza precedenti. Ciò che scopre è un esercito in disordine, con soldati disillusi e spesso in difficoltà nel capire per cosa stanno combattendo, che inoltre si dicono ignari delle atrocità procurate ai civili ucraini. C’è chi è al fronte per aver seguito un amico, chi lo fa per aver dato ascolto alla propaganda ed è convinto che l’Occidente voglia invadere la Russia. Tutti concordano che quello che dicono i giornali russi è falso: non è vero che i guerrieri sono eroi che non muoiono, dal fronte tanti sono i soldati che non tornano. «Mentre la maggior parte degli occhi era puntata sull’Ucraina e sull’orrore e la devastazione che la guerra aveva scatenato sul Paese e sulla sua gente, ho puntato il mio obiettivo su coloro che la maggior parte del mondo non aveva mai visto prima: i soldati russi» ha dichiarato la regista. “Russians at War” non è un esame storico sulle ragioni della guerra ma «una testimonianza in tempo reale di una parte prima sconosciuta». La regista ha voluto sfatare gli stereotipi sui soldati per il resto del mondo visti come criminali di guerra, ma per lei il più delle volte persone normali con famiglie e vittime anche loro di quello che sta accadendo.

Panico e orrore

Se per molti la realizzazione risulta empatica, molte sono però le critiche che ha suscitato per aver minimizzato la distruzione e la violenza perpetrate dalle forze russe in Ucraina e visto quindi come un tentativo di giustificare l’aggressione russa. Ma il film di Trofimova è contro la guerra, come ha lei stessa dichiarato: «Dall’inizio della guerra sono stati distrutti molti ponti tra la Russia e l’Occidente. Vorrei che questo film servisse per aiutarci a guardarci reciprocamente». Diverso il documentario “Songs of slow burning earth” della regista ucraina Olha Zhurba, in ideale dialogo con quello della collega russa, ha detto il direttore della Mostra Alberto Barbera. Il documentario indaga gli effetti devastanti e struggenti dell’invasione russa sulle vite degli ucraini. Girato nell’arco di due anni a varie distanze dal fronte, punto di riferimento costante che resta però invisibile, il film è un vero e proprio diario audiovisivo della caduta dell’Ucraina nel panico e dell’orrore per la morte e la distruzione delle prime settimane dell’invasione russa, poi diventata tragica normalità per la popolazione locale. All’inizio della guerra a pochi km dalla prima linea si sentono i bombardamenti. Il panico si diffonde presto a Kiev, la gente scappa e cerca di salire sui treni. Alla stazione è il caos: grida di dolore e lacrime. Una mamma strige in braccio il suo bambino con lo sguardo perso nel vuoto

Un ritratto collettivo struggente

La prima mezzora è struggente. Diversi gli spettatori che si alzano e se ne vanno: il solo documentario è troppo forte da sopportare. Un’anziana in camicia da notte, scappata in fretta e furia da casa con la sua famiglia, si dispera per aver perso tutto. Nel mentre, i soldati russi uccidono i civili e occupano le case. Mariupol è rasa al suolo. Presto ci si trova su un camion che trasporta le salme dei soldati, e molti sono quelli a cui negli obitori si cerca di dare un nome prima della sepoltura. Chi sopravvive resta spesso mutilato, mentre nelle scuole ragazzi e ragazze vengono addestrati a marciare. «Ho voluto dare un ritratto collettivo. Per me era cruciale mostrare la paura delle persone» ha detto ZhurbaIl film, psicologicamente provante, è una visione dall’interno che porta lo spettatore ad empatizzare molto di più rispetto al documentario della regista russa, che invece pare cogliere la guerra in modo più analitico ed emotivamente distaccato. In entrambi i film colpisce però la stessa frase detta sia da un soldato russo che ucraino: “faccio la guerra perché un domani non debbano farla i miei figli”. Ma la domanda guardando i documentari è una sola: quando tutto questo finirà?

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