Sono creazioni che fanno letteralmente girare la testa. È questo l’effetto delle opere della mostra “Marina Apollonio. Oltre il cerchio” allestita negli spazi espositivi della Collezione Peggy Guggenheim a Venezia, visitabile fino al 3 marzo, a cura di Marianna Gelussi. Si tratta della prima e più grande personale mai realizzata in un’istituzione museale italiana dedicata a Marina Apollonio (Trieste, 1940), una delle maggiori interpreti dell’arte ottica e cinetica internazionale. La mostra ripercorre dal 1963 a oggi la carriera dell’artista, cresciuta a Venezia, attraverso i disegni, le prime prove di ricerca su carta e una selezione di inediti materiali d’archivio, mettendo in luce aspetti meno conosciuti della produzione dell’artista. Un centinaio sono le opere esposte provenienti dalla collezione dell’artista, nonché da musei e istituzioni nazionali e internazionali. Marina Apollonio, figlia del critico Umbro Apollonio, inizia la propria ricerca creativa stimolata dall’ambiente artistico familiare già dai primi anni ‘60. Attratta dal rigore dell’astrazione geometrica, si focalizzerà sulla psicologia della percezione, indagando su aspetti visivi non usuali nel mondo dell’arte. La geometria delle forme elementari e le ricerche attorno alle loro possibilità di attivazione sono al centro dell’opera di Apollonio, in una rigorosa progettazione matematica e continua sperimentazione tecnica su diversi supporti, in cui elementi costanti sono il programma, il dinamismo e l’essenzialità. Nel 1962 entra in contatto con gli artisti dell’Arte programmata e poi con quelli dell’Optical-art ma, pur trovandosi in sintonia con queste visioni, con cui condivide e promuove l’idea di arte depersonalizzata e in contrasto con le correnti informali allora in voga, non aderirà mai a nessun gruppo. Abbracciando il movimento, Apollonio rende così partecipe lo spettatore in opere che non sono né pittura né scultura.
Molteplici sono le linee di ricerca presenti in mostra, attorno e al di là del cerchio, tra strutture e linee, diverse tecniche e materiali, che spingono la forma oltre i limiti della superficie e della cornice, dinamizzando lo spazio e la percezione. Il cerchio ritorna ossessivamente in infinite variazioni e nella ripetizione si carica di un valore simbolico e rivela il desiderio di espansione e fusione. Questo si svela in tessiture grafiche, anelli concentrici o eccentrici dallo spessore progressivo o digressivo, che escono dalla bidimensionalità. La percezione spaziale è alterata, come spiega l’artista, da una pulsione «attrattiva-espansiva e fluido-elastica», che fin dai primi esperimenti d’attivazione del cerchio ricorre all’uso del giradischi per testare le potenzialità e visualizzare gli effetti percettivi delle opere, seguendo intuitivamente le orme di Marcel Duchamp. Oltre alle ormai iconiche “Dinamiche circolari”, serie iniziata nel 1963 di oggetti statici e mobili che esplorano la struttura e le possibilità di attivazione del cerchio, in mostra sono presenti anche i “Rilievi”, strutture metalliche tra i primi lavori dell’artista, realizzati nel corso degli anni ‘60 e ‘70. Non mancano sculture strutturate attorno al cerchio e alla sua moltiplicazione, caratterizzate dal potere riflettente del metallo. Il percorso espositivo prosegue con l’eleganza delle “Gradazioni”, pitture in cerchi concentrici realizzate nella seconda metà degli anni ’70, che come i “Rilievi” sono concepite a coppie, in una sorta di dittici dalla struttura inversa, speculare o cromatica.
Si differenziano invece i “Rilievi a diffusione cromatica” dei primi anni ‘70, monocromi bianchi con cerchi intagliati nel supporto di plastica, che con il movimento dello spettatore, passando da una visione frontale a quella laterale, si scoprono sottilmente dipinti da una linea colorata minimalista. Non manca in mostra forza delle “Espansioni”, pitture di piccolo formato che si caratterizzano esplosioni cromatiche dalle linee di colore concentriche. In mostra stuzzicano poi le opere “Dinamica circolare 5F” e la scultura “Struttura ad anelli 5”, costruite sulla relazione tra cerchio e quadrato, tra linea curva e angolo retto, che sembrano suggerire una soluzione visiva al problema della “quadratura del cerchio” Il percorso include anche due nuovi progetti site-specific: l’ambiente “Entrare nell’opera”, realizzato dall’artista appositamente per la mostra, e l’inedita istallazione musicale “Endings”, nata dalla recente collaborazione con il compositore Guglielmo Bottin, ispirata alla “Fusione circolare” del 2016. La mostra inoltre dialoga idealmente con gli spazi di Palazzo Venier dei Leoni, dove una sala è dedicata per l’occasione esclusivamente ai lavori dei maggiori rappresentanti dell’Arte ottica e cinetica che Guggenheim collezionò ed espose nel corso degli anni ’60, tra cui Alberto Biasi, Martha Boto, Franco Costalonga, Heinz Mack, Manfredo Massironi, Francisco Sobrino, Victor Vasarely e, naturalmente, Apollonio.
«Nel 1968, dopo aver visitato una personale proprio dedicata ad Apollonio presso la Galleria Paolo Barozzi di Venezia, Peggy Guggenheim rimane molto colpita dal suo lavoro e le commissiona “Rilievo n. 505”, opera che tutt’oggi fa parte della collezione permanente» racconta Karole P. B. Vail, direttrice della Collezione Peggy Guggenheim. La storia dell’opera si intreccia intimamente con quella personale della collezionista: segnata dalla tragica morte della figlia Pegeen Vail, chiede di sostituire il rosso d’origine del fondo, un colore che le è oramai insopportabile. Da qui la scelta di Apollonio di usare il verde fluorescente, che ne impreziosisce tutt’oggi i riflessi. «Un’opera che prova ancora una volta il sostegno di Guggenheim alle giovani avanguardie italiane» dice Karole P. B. Vail, sottolineando quanto viene raccontato anche nel podcast da poco realizzato da Chora Media sulla figura della mecenate (leggi qui). «L’aver realizzato un’opera che ancora oggi fa parte della collezione di Peggy Guggenheim fu per me un enorme incoraggiamento a continuare e insistere nel realizzare opere in cui credevo. – ha detto Apollonio, che nel 2022 ha esposto le sue opere anche alla Biennale d’Arte. «Questa mostra indaga il desiderio di superamento che è al centro dell’arte di Marina Apollonio – conclude la curatrice Gelussi. – Basata sul rigore del programma, la sua opera dinamizza la forma e instaura una relazione attiva con chi guarda».
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