Una serie di opere e disegni inediti dove esplode il colore. La mostra “Edmondo Bacci. L’energia della luce”, allestita alla Collezione Peggy Guggenheim a Venezia e dedicata all’arte di Edmondo Bacci (1913-1978), presenta un colore in espansione sulla tela, in un continuo conflitto di potenze. La mostra, a cura di Chiara Bertola, responsabile del programma di arte contemporanea della Fondazione Querini Stampalia di Venezia, resterà aperta al pubblico fino al 18 settembre. Sono circa ottanta le opere – molte mai esposte prima – selezionate e per la mostra, la prima e più esaustiva personale dedicata all’artista veneziano. L’esposizione intende approfondire la parte più lirica dell’opera di Bacci, nel momento più internazionale della sua carriera. Negli anni Cinquanta, quando è già affermato negli ambienti espositivi legati allo Spazialismo e tra gli artisti contemporanei più innovativi a livello nazionale, viene notato da Peggy Guggenheim ed emerge evidente agli occhi della critica tutta la novità del suo dipingere, la forza generativa del colore, la rottura dei piani spaziali e il ritmo circolare della pennellata. Bacci si colloca entro la ristretta cerchia di eccellenze artistiche venete, tra cui figurano anche Tancredi e Vedova, ed è senza dubbio uno dei pochi artisti nel panorama italiano a metabolizzare velocemente le possibilità di una nuova astrazione, legando le contemporanee tendenze provenienti da Europa e Stati Uniti con uno stile unico e una visione personale.
Il percorso espositivo prende il via dal nucleo di tele, in bianco e nero, intitolate “Cantieri” e “Fabbriche”, che l’artista realizza tra il 1945 e il 1953, ispirate agli altiforni dell’area industriale della vicina Porto Marghera, e influenzate dal contatto con gli artisti del Fronte Nuovo delle Arti, in particolare Vedova e Pizzinato. Bacci qui esclude il colore: compone movimenti accidentati, resi dall’alternarsi dinamico delle masse luminose bianche con quelle nere. È tra il 1952 e il 1953 che si apre verso significative valenze cromatiche, dove cominciano a formarsi le caratteristiche linguistiche della sua pittura che, astratta, elimina progressivamente il segno per fondarsi invece, sempre di più, sulla funzione spaziale del colore. Le tele del 1954, intitolate “Albe”, sono infatti caratterizzate dalla rottura definitiva dei piani cromatici.
Un percorso di ricerca che poi evolve nei tanto celebri “Avvenimenti”, realizzati tra gli anni ’50 e ‘60. Questi rappresentano il nucleo più poetico, creativo e felice del lavoro dell’artista: un big bang pittorico che è cuore pulsante della mostra. Opere dove lo spazio non è più sorretto da una griglia geometrica ma si genera unicamente dalle relazioni tra gli eventi di colore. Un colore che diventa spazio assoluto, pura materia di luce, e che abolisce ogni limite tra superficie e volume, tra dimensione e traiettoria. In mostra sono presenti una serie di “Avvenimenti” che nel corso degli anni ’50 sono stati acquisiti da diversi collezionisti statunitensi e che tornano in Italia per essere esposti per la prima volta al pubblico. Tra questi, “Avvenimento #13 R” del 1953, acquistato a suo tempo da Alfred H. Barr Jr, allora direttore del Moma di New York, e oggi parte della collezione del museo newyorkese.
La mostra dà spazio a un altro aspetto meno noto del linguaggio dell’artista: lo sperimentalismo degli anni ’60 – ‘70 a cui Bacci rivolge la sua ricerca negli ultimi anni di lavoro. È qui che si incontrano i suoi “Gessi”, le “Sagome”, i “Teatrini”, tutte opere che riflettono l’incessante ricerca artistica di Bacci che in quegli anni si spinge verso nuove indagini extra pittoriche rivolte alla materia. Ad affiancare questi lavori, un’importante sezione è dedicata a un gruppo inedito di disegni e “Carte bruciate”, provenienti da diverse collezioni italiane e soprattutto dall’Archivio Edmondo Bacci, dove l’artista interpreta su carta le potenzialità proprie del segno grafico e del colore. Il percorso espositivo si conclude con un tributo alla partecipazione di Bacci alla Biennale del 1958, quando gli venne dedicata un’intera sala. “Per lui il colore è un conflitto di potenze e la materia vive di questa tensione, sensibile e luminosa”, così scrisse di Bacci Peggy Guggenheim nel Catalogo della mostra. Nell’ultima sala il Giudizio finale di Giambattista Tiepolo, della Collezione Intesa Sanpaolo alla Fondazione Querini Stampalia, testimonianza come Bacci fin dalla sua formazione artistica presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, formatosi sotto la guida di Virgilio Guidi, sia stato fortemente influenzato dalle grandi tele del passato, specialmente dalla spazialità dei grandi affreschi e cieli tiepoleschi.
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